La Repubblica – Libro primo

platone

Leggere “La Repubblica” non è un esercizio facile, almeno per chi non possiede gli strumenti adatti per farlo. Di seguito, propongo una rivisitazione del testo di Platone, con il fine di renderlo più semplice e con l’auspicio che la lettura possa rappresentare un primo passo per avvicinarsi all’originale.

N.B. La parte introduttiva, che descrive la moglie di Socrate, Santippe, non è presente nel testo di Platone.

(Fonti:  “Platone, La Repubblica” – “Alain Badiou, La Repubblica” – “Pierre Bourdieu, Risposte” – “Diogene Laerzio, Vite di Filosofi” – “Platone, Apologia di Socrate” – “Platone, Fedro” – “Platone, Gorgia” – “Platone, Menone” – “Platone, Protagora” – “Platone, Simposio” – “Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone” – “Giovanni Reale, Socrate”)

Libro primo

19 Maggio fine V sec. a.C.

Che gran fatica alzarmi dal letto quella mattina.

Santippe stava facendo i mestieri di casa e sbatteva senza motivo le stoviglie sui piatti, come se stesse suonando dei cimbali per una festa dionisiaca “La smetti di urlare!? Tuo padre sta dormendo…” inveì contro Menèsseno.

“Santippe, credi forse che non mi disturbi di più la falsa premura che manifesti nei miei confronti?” le chiesi sedendomi sul letto.

 “Cosa vorresti dire Socrate?” rispose venendomi incontro minacciosa “Forse che il tornare a casa in piena notte e con l’alito di vino, per giunta, non meriti un trattamento di questo tipo?”

Mi alzai a fatica senza rispondere, non volevo contrariarla ancora di più di quanto già non lo fosse. Primo, perché avevo mal di testa, secondo perché sapevo che quella donna avrebbe avuto la giusta dose di coraggio per gettarmi addosso un secchio d’acqua gelato.

“Cosa stai bofonchiando? Guarda che ti ho sentito e un po’ d’acqua gelida non potrebbe che aiutarti a mettere giudizio” mi disse lanciandomi un’occhiata simile a quella di un cavallo selvaggio pronto a disarcionare il suo padrone.

“Santippe, lo sai bene che amo vivere con te, perché sei la madre dei miei tre figli oltre che un’ottima palestra”

“Palestra? Che vuoi dire?” mi chiese ancora più stizzita

“Che il sopportarti è un grande allenamento per il mio autocontrollo, grazie a te sono in grado di affrontare chiunque altro ad Atene e con il sorriso sulle labbra, per giunta.”

“Ti direi invece di stare molto attento a come ti comporti, l’altro giorno quell’Asclepio, oppure… non ricordo il nome…”

“Di chi parli Santippe?”

“L’amico di Meleto, il poeta. L’hai assillato di domande a tal punto che ti ha dato un pugno sul muso, non è vero?”

Sbuffai senza rispondere, afferrai il mio mantello ed uscii di casa.

“Bravo, sempre a piedi nudi e con un mantello bucato addosso. Che figura ci facciamo? Un po’ come l’altro giorno quando hai invitato a pranzo quei cittadini amici tuoi. Non avevamo nulla di che da offrire…”

“Santippe, il mantello lo porterò bucato con me sino alla morte. Per quanto riguarda il cibo, sai bene che non me ne curo più di tanto. Gli altri uomini vivono per mangiare mentre io mangio per vivere.” E chiuso l’uscio dietro di me raggiunsi Glaucone che già mi aspettava lungo il muro settentrionale per scendere al Pireo.

“Socrate eccoti finalmente! Sbrighiamoci che sono molto curioso di assistere alla festa per la Dea Bendìdie. È la prima volta che si festeggia e si dice che ci saranno molte attrattive interessanti”.

“Mio caro Glaucone, so bene a quali attrattive ti stai riferendo. I festeggiamenti per la dea sono sacri e non approvo questa tua smania per assistere ai balli di donne poco vestite” gli dissi ammonendolo.

In effetti, perché privarsi della vista di qualche bella ragazza, certo però non volevo dare addito a nessun chiacchiericcio, neanche con amici fidati come Glaucone. Tanti uomini da poco ne avrebbero approfittato senza pensarci se avessero sentito certe voci sul mio conto. Mi era bastato assistere allo spettacolo di Amipsia e a quello di Aristofane! A quest’ultimo poi, per protesta, stetti in piedi per tutto il tempo della rappresentazione.

“Socrate, non vedo l’ora di assistere alla processione dei Traci… e… si dai, ammetto che non mi dispiace l’idea di scoprire come saranno i costumi delle loro donne”.

“Sei giovane e anche impetuoso, come tutti i giovani” gli risposi sorridendo, mentre percorrevamo la strada che scendeva giù, verso il luogo del rito.

Effettivamente non fu affatto male la festa e neanche le donne che sfilavano per la Dea.

“Socrate, è stata davvero una bella festa”

“Concordo Glaucone. Ora che abbiamo finito la preghiera direi di tornare a casa, Santippe mi aspetta e non penso proprio che accetterebbe un mio ritardo, anche oggi”

“Devo dirtelo Socrate, non so proprio come tu faccia a sopportare tua moglie”

“Ma io mi ci sono abituato al suo cianciare, mio caro Glaucone, è come sentire il rumore incessante di un argano. Inizialmente ti infastidisce ma dopo qualche tempo, se smettesse di farsi sentire e ritornasse il silenzio, eh… allora scopriresti che ti mancherebbe tanto quanto prima ti infastidiva.”

“Belle parole Socrate. Quindi non te ne sei mai pentito di averla presa in moglie…”

“Certo che me ne sono pentito, come tutti quelli che si sposano direi”

Mentre discorrevamo risalendo lungo la strada che ci avrebbe riportato alla città, sentii da dietro tirare il mio mantello. Ci girammo e un ragazzino mi disse “Aspettate Socrate, Polemarco vi chiede di attenderlo”

“E dov’è Polemarco?”

“Eccolo, è proprio laggiù, sta arrivando”

Polemarco ci aveva visti da lontano e stava sopraggiungendo insieme ad Adimanto, il fratello di Glaucone, oltre che a Nicerato, Clitofonte e alcuni altri.

“Socrate dove stai andando? Non sai che questa sera ci sarà una gara con le torce a cavallo, e poi una festa dopo cena? Non puoi assolutamente mancare” mi disse Polemarco con un certo tono e l’aria del non voler accettare un no come risposta. Glaucone insistette molto quindi decisi di cedere, con la speranza di poter tornare a casa ad un orario decente, non volevo irritare ancora Santippe. Seguimmo tutti Polermarco e, giunti a casa sua, incontrammo anche il padre, Cefalo, un mio buon amico che non vedevo da un pezzo. Eccolo, era lì in cortile, il caro Cefalo, invecchiato davvero molto dall’ultima volta che l’avevo incontrato. Stava finendo in quel momento un sacrificio alla Dea con in testa una coloratissima corona di fiori.

“Socrate amico mio carissimo, sono felice di vederti, non mi aspettavo una tua visita. È passato molto molto tempo…”

“Hai ragione Cefalo e ne sono dispiaciuto”

“Non fa nulla, promettimi che d’ora in avanti verrai a trovarci più spesso. Sai quanto io ami ascoltare le persone intelligenti come te. Ora come ora, piuttosto che guardare le donne preferisco i discorsi e le dispute filosofiche… la vecchiaia spegne certi istinti e ne accende altri”

“Vuoi forse dire che la filosofia è per chi non ha più alcun desiderio di beni materiali?” domandai a Cefalo con un sorriso e intanto mi guardavo intorno. C’era parecchia gente: i due fratelli di Polemarco, Lisia ed Eutidemo, più in là avevo intravisto Trasimaco di Calcedone, che mi stava lanciando uno sguardo tutt’altro che amichevole, chissà poi per quale motivo. Là in fondo c’era Carmantide di Peane, lì vicino Clitofonte… Molta gente che contava in città…

“Di certe voglie, mio caro amico, me ne sono finalmente liberato” mi rispose Cefalo, ricambiando il mio sorriso “e ora mi dedico alla riflessione e a tutto ciò che potrà garantirmi un buon posto nell’aldilà. Sopporto bene la vecchiaia grazie al mio carattere, anche se ne sento di altri, tra cui molti amici, ai quali questa fase della vita pesa davvero molto…”

“Cefalo io credo che la vecchiaia non ti pesi perché sei benestante. Ancora di più perché il tuo patrimonio lo hai ereditato. Chi si fa da solo solitamente è più attaccato ai soldi che ai propri figli.” gli dissi senza paura di offenderlo, conoscevo bene Cefalo e sapevo che certe affermazioni non lo avrebbero turbato.

“Socrate hai ragione, io penso però che i soldi non facciano la felicità. Certo, se una persona è già caratterialmente predisposta a non subire l’indolenza della vecchiaia, allora tanto meglio averne piuttosto che il contrario… Quello a cui aspiro ora, più di qualunque altra cosa, è di comportarmi secondo giustizia per il resto del tempo che mi rimane da vivere.”

“E quale sarebbe il tuo modo di essere giusto?” gli chiesi

“Dicendo la verità e restituendo agli altri ciò che gli è dovuto” mi rispose Cefalo con la sicurezza di chi vede la ragione dalla sua parte.

A me proprio non sembrava che una simile definizione racchiudesse in sé la giustizia, almeno nella sua dimensione universale “Quindi dovremmo restituire delle armi a un uomo che nel frattempo è impazzito? Non sarebbe più giusto tenercele e usare una piccola menzogna a fin di bene?”

Intervenne Polemarco: “Mio padre non ha per nulla torto Socrate. Perché mai giustizia non dovrebbe essere questa, ossia il restituire ciò che ti è stato dato. Anzi, aggiungerei io, che il restituito deve essere proporzionato al ricevuto, ossia all’amico si deve dare il bene e al nemico il male”

“Stai dicendo che il dovuto è un debito, quindi? E che si debba restituire nella forma di un utile agli amici e di un danno ai nemici, ho capito bene?”

“Hai capito perfettamente, Socrate.”

“E la giustizia quando sarebbe utile, Polemarco?”

“In guerra e nelle alleanze, ad esempio” mi rispose

“Bene. E in tempo di pace?”

“Beh, in tempo di pace lo sarebbe nei contratti commerciali, soprattutto quando c’è da maneggiare del denaro, ancora meglio se bisogna conservarlo…”

“In tal caso la giustizia sarebbe utile solo per le cose che non si usano, per come me l’hai descritta. Inoltre, la ragione non ci dice che un abile custode potrebbe essere anche un abile ladro?”

“Perché un ladro?”

“Perché sta da sé che chi è in grado di conservare una cosa saprà anche come rubarla. Così come chi è abile a proteggersi da una malattia sarà anche abile nel procurarla a qualcuno altro” gli risposi.

Polemarco rimase fermo sulle sue posizioni, ossia che la giustizia altro non era che il dare giovamento agli amici e il danneggiare i nemici.

“Non pensi che sarebbe più corretto dire che giustizia significa fare del bene all’amico buono e procurare danno al nemico cattivo? In ogni caso, se si danneggiassero i cattivi, certo non diventerebbero buoni, tuttalpiù ancora più malvagi e ingiusti, o sbaglio? Inoltre, siamo davvero sicuri che un amico sia davvero amico oppure finga di esserlo? In questo caso faremmo del bene a un nemico e se applicassimo lo stesso ragionamento al contrario, correremmo il rischio di fare del male a un amico. Tutte queste cose mi sembrano importanti per dare una buona definizione di giustizia, sempre e comunque considerando che fare del male a chicchessia continua a infastidirmi e a non farmi pensare alla giustizia ma al suo opposto”.

Mentre discorrevamo su questi argomenti, tra tutti i presenti mi sentivo addosso e pesanti gli occhi di una persona in particolare, lo stesso uomo che mi aveva accolto con uno strano piglio quando entrai in casa di Polemarco. Era quel Trasimaco, gran sofista, non c’è che dire, ottimo oratore e insegnante dell’arte della retorica, un’eccellenza nella polis. Un uomo che sapeva di sapere, a differenza mia, e che aveva fatto del suo sapere la propria professione, insegnando agli altri a parlare e a convincere attraverso l’uso delle parole. Dal suo punto di vista cosa avrebbe mai potuto dire, di vero, uno come me, che non possedeva neanche tre oboli per comprare dei calzari o una dracma per un nuovo mantello…

Intanto che dialogavo con Polemarco e riflettevo tra me e me su tutte queste questioni, d’improvviso Trasimaco si alzò di scatto e…

“Cosa sono tutte queste sciocchezze!” cacciò queste parole dentro a un urlo e ce lo scagliò addosso. Io mi spaventai talmente tanto che sbiancai e anche Polemarco fece un passo indietro.

“Smettetela di battere e ribattere in questa maniera assurda!” continuò Trasimaco “È cosi facile fare domande senza dare risposte, vero Socrate? Bene, ora piantala di girarci attorno e dacci questa benedetta definizione di giustizia, sempre che tu ne sia in grado!”

Ero talmente atterrito che dovetti cercare le parole nel profondo della mia anima per riuscire a rispondere e lo feci quasi tremando; e seppure fossi ben consapevole che ogni domanda possedesse una forza che la risposta non conteneva più, gli dissi:

“Trasimaco, non credere che stiamo parlando a vanvera perché lo vogliamo ma perché non riusciamo davvero a definire la giustizia nel suo significato più proprio. Tu che hai tanta conoscenza sulle cose e ne sai molto più di noi su ogni argomento, dovresti provare tenerezza nel guardarci e non certo disprezzarci”.

Si mise a ridere e continuò a prendere in giro il mio modo di interrogare senza affermare, quel mio aggrapparmi alla risposta ricevuta e a confutarla senza metodo, come diceva lui, con insolenza e non certo con il rispetto dovuto alla verità. Allora mi rallegrai con lui che fosse finalmente intervenuto e gli chiesi di darci il suo contributo, di venirci in aiuto e di suggerirci finalmente una definizione sicura di giustizia.

“Certo che ve la darò, non gratis naturalmente! Mi dovrai pagare, caro Socrate!”

“E lo farò volentieri, appena ne avrò la possibilità. Non ora perché non posseggo denaro, attualmente” gli risposi.

“Denaro ce n’è e lo metteremo noi” dissero Glaucone e molti altri “Siamo tutti interessati a imparare da te, Trasimaco”.

Allora Trasimaco si convinse, anche se traspariva da tempo tutta la sua voglia di farsi bello e di parlare. Più volte, infatti, durante il mio dialogo con Polemarco l’avevo notato, irrequieto sulla sua seggiola, e più volte era stato trattenuto nell’intervenire da Clitofonte. Tuttavia, quando la tigre si era finalmente liberata, allora poté scagliarsi famelica sulla sua preda.

“Perfetto Socrate, ti farò questo servizio e ti dico immediatamente che giustizia altro non è che l’utile del più forte! Sei soddisfatto?” e lo disse con una tale baldanza per cui nessuno, sano di mente, avrebbe mai pensato alla possibilità di fargli obiezione.

Però io, che sin da quando ho memoria il mondo l’ho sempre visto come una palude di opinioni, non avrei mai potuto accettare in silenzio una simile affermazione.

Le opinioni sono strane, perché hanno la debolezza di dissolversi e di perdersi e cosa ancora più strana è che prima di svanire rivelano una propria forza. Esse sono in grado di dare una spinta per far salire più in alto il pensiero alla ricerca di un’opinione particolare, una di quelle che ha il pregio di non poter più essere opinata e che risiede molto in alto, in cima alla scala di tutte le opinioni.

Inoltre, questa strana opinione, è talmente piena di verità da lasciarsi attingere senza misura. Tutte le opinioni, infatti, ne partecipano senza che diminuisca di alcunché la quantità del suo contenuto.

In me esiste una forza, forse un talento, non saprei se definirlo così, che mi obbliga a porre domande per cercare questa strana forma di opinione; e questa dote l’ho ereditata da mia madre, cara Fenarete, che era un’ostetrica, faceva nascere i bambini, esattamente come io faccio nascere la verità attraverso gli altri. Naturalmente sono ben cosciente di quanto sia irritante il mio dialogare, lo è stato per Anito, quando parlavamo di virtù, insieme a Menone, così come lo è stato l’altro giorno per l’amico di Meleto e ora per Trasimaco.

“Parli forse del cibo? Sarà più utile una bistecca a un uomo forzuto rispetto a me o sarà utile per entrambi?” gli domandai.

“Vedete di cosa parlavo prima? Socrate, non è possibile discutere con una persona come te!” mi rispose irritato e indignato rivolgendosi a tutti i presenti. Poi continuò: “Lo sai che alcuni Stati sono governati da un tiranno? Mentre in altri vige un regime democratico e in altri ancora è l’aristocrazia la forma di potere in carica?”

“Certo Trasimaco, lo so bene.”

“Perfetto! Allora sarai d’accordo con me quando ti dico che il tiranno, o chi è a capo di un governo democratico o aristocratico, emana delle leggi che sono finalizzate al proprio utile e che i cittadini devono rispettarle. E sai bene che se non le rispettassero diventerebbero dei fuorilegge e sarebbero puniti per questo motivo” e lo declamò come se fosse stato sul palco di una piazza di fronte a un folto pubblico.

Può essere utile solo per alcuni e non per altri? Mi chiesi tra me e me…quindi ripresi: “Trasimaco tu dici che la giustizia è l’utile del più forte. Ti anticipo che non mi convince questa tua definizione e ti voglio dimostrare una cosa. I governanti non sono infallibili, me lo confermi vero?”

“Certo, nessuno è infallibile” mi rispose secco.

“Bene, se non lo sono, nel momento in cui formulano le leggi, potrebbero anche incorrere in errori”

“In che senso?”

“Nel senso che potrebbero emanare leggi che non fanno il proprio utile.”

“E per quale motivo non lo farebbero?”

“Perché se i sudditi le seguissero, in quanto sbagliate rispetto alla finalità, allora i cittadini non farebbero più l’utile del più forte ma gli procurerebbero un danno”.

“Vuoi avere ragione ad ogni costo, vero Socrate? Tu credi davvero che un governante, quando sbaglia, non sia più un governante e perda la propria competenza nel governare? O un medico non sia più un medico se mai dovesse sbagliare una diagnosi? Il governante in quanto tale non sbaglia, così come non lo fa il medico. In caso contrario non sarebbero né governante, né medico!”

“Capisco la tua obiezione, Trasimaco, ti chiedo allora se la medicina, hai usato anche questo come esempio se non sbaglio, ricerchi l’utilità in se stessa o in altro. Ti anticipo e ti dico che secondo il mio parere la medicina non mira all’utile della medicina ma all’utile del corpo malato, così come nessuna scienza o pratica di alcun genere mira al proprio utile ma a quello del proprio oggetto di studio” gli dissi.

“Cosa vuoi dire?”

“Che l’ippica mira al benessere dei cavalli, così come la medicina a quella del corpo e potrei farti mille altri esempi del genere. Quindi qualsiasi attività ha come ricerca il benessere del suo oggetto, come lo abbiamo chiamato prima, ossia di ciò che essa governa: la medicina il corpo, l’ippica i cavalli”.

Continuai in questo modo e vedevo che la discussone aveva un effetto negativo su Trasimaco. Divenne rosso ed era così nervoso che non mi avrebbe stupito un suo attacco fisico. Ripresi:

“Ora Trasimaco, se ogni attività mira all’utile di ciò che è sotto il suo governo, a maggior ragione il governare mirerà all’utile dei sudditi e non del governante!”

“Quindi i pastori mirano al bene delle loro pecore e non all’utile che ricaveranno nel tosarle o nel vendere le loro carni? Socrate sei talmente fuori strada nel dare il senso alla parola giustizia che non ti rendi conto di come in realtà, per i più deboli, la giustizia non è altro che un bene di altri. Vuoi chiamare giusti i deboli? Bene, allora sappi che i giusti sono quelli che ci perdono sempre, così nei contratti d’affari come di fronte allo Stato. Nel primo caso il giusto ci perderà se la controparte è un ingiusto; nel secondo, il giusto pagherà sicuramente più tributi rispetto all’ingiusto… E i casi e gli esempi sono talmente numerosi che non mi sarebbe difficile dimostrartelo in molti altri modi. È chiaro che l’ingiustizia paga molto di più della giustizia e non potresti che darmi ragione se solo tu pensassi all’ingiustizia nella sua forma assoluta.”

“In che modo?”

“Quella del tiranno, per esempio. Ossia quella forma di governare dove solo una persona commette ingiustizia verso tutti i sudditi e per questo viene giudicato da tutti felice e beato!”

“Dunque per te l’ingiusto è felice?” gli chiesi

“Certo, chi non la fa è solo perché non ha la forza di imporla e chi ne parla con disappunto lo fa solo perché ha paura di subirla!” mi rispose Trasimaco, con quell’aria di chi è talmente soddisfatto di se stesso da non temere il giudizio di nessun altro, tracotante di quel compiacimento che non bada più al voler convincere il proprio pubblico, bensì all’aver dato prova a se stesso della propria forza. Tanto era la sua gratificazione in quel momento che se ne voleva andare via, abbandonandoci tutti lì senza darci nessuna possibilità di replica. Gli altri non lo lasciarono andare e io ne fui soddisfatto, perché ancora non ero stato convinto del fatto che l’uomo giusto fosse infelice e l’ingiusto felice.

“Se non sei stato persuaso da ciò̀ che ho detto poco fa, cos’altro potrei fare? Devo forse infilarti il discorso nell’anima con la forza?” mi disse guardandomi fisso.

“Io credo che potremo arrivare ad una soluzione. Ti faccio una domanda: credi che chi governa lo faccia volontariamente?”

“Certo che lo credo”

“Io, invece, credo il contrario; inoltre, secondo me, nessuna attività, sia essa quella di governare o di fare il medico oppure il pastore, o qualunque altra, ha come scopo il proprio utile.”

“E quindi, Socrate, da dove arriverebbe l’utile di chi governa?”

“È il compenso in denaro o gli onori ricevuti per l’attività svolta, ecco l’utile! Il governante riceverà un premio oppure un castigo, altrimenti mai si sognerebbe di governare”.

“Un castigo?” intervenne Glaucone

“Certo, il castigo per il governante che si rifiuti di governare. E quale potrebbe essere il castigo se non quello di farsi governare da chi gli è inferiore? Proprio per questo motivo i giusti decidono, loro malgrado, di governare negli Stati ingiusti mentre non lo fanno in uno Stato fatto solo di persone giuste. In una società di questo tipo, infatti, i giusti farebbero a gara per non governare”.

Mi rivolsi nuovamente a Trasimaco: “Secondo te la giustizia è una virtù o un vizio?”

“Nessuna delle due” rispose “io ti direi che la giustizia non è altro che una nobile semplicità di carattere”

“E l’ingiustizia?” gli chiesi

“Direi che un buon modo di definirla potrebbe essere “accortezza” o “avvedutezza” ”.

“E presumo che gli ingiusti siano più intelligenti dei giusti, vero?”

“Certo! Naturalmente parlo di un’ingiustizia assoluta, quella di un tiranno e non certo dell’ingiustizia perpetrata da un topo d’appartamento” mi rispose lui

“Ascoltami Trasimaco, sei d’accordo che il giusto farà in modo di contrastare sempre e comunque l’ingiusto, quando ne avrà occasione, e certo non tenterà di farlo con un altro uomo giusto? E l’ingiusto, al contrario, combatterà sia i giusti, sia gli ingiusti?”

“Direi di si…”

“Quindi il giusto non vorrà mai sottomettere un suo simile ma un suo dissimile, mentre l’ingiusto non farà alcun tipo di distinzione. Sei d’accordo con me anche questa volta?”

“Lo sarei, forse, se capissi quello che hai detto”

“Ascolta… Un musicista esperto conosce la musica meglio di chi non sa suonare, così come il medico conosce il suo mestiere meglio del proprio paziente. Converrai con me che un esperto non è portato a prevalere su un altro esperto. L’ignorante, invece, non fa alcuna distinzione di sorta e cerca di soverchiare chiunque, sia esso un ignorante come lui, sia un sapiente che pratica al meglio il proprio mestiere”.

Mi diede ragione, anche se con molta riluttanza

“Inoltre” continuai “se il sapere è assimilabile al buono, allora il sapiente sarà anch’egli buono, o non sei d’accordo?”

Trasimaco, iniziò ad arrossire ancora di più rispetto a prima, non saprei dire se di rabbia o di vergogna, certo che iniziai a temere davvero in qualche sua reazione nei miei confronti. Fortunatamente decise solo di non replicare più alle mie domande se non con un sì o con un no e io me lo feci bastare…

“Ti domando Trasimaco: secondo il tuo parere autorevole, naturalmente” non potevo esimermi dal prenderlo un po’ in giro “uno Stato o un esercito o una banda di predoni oppure di ladri, o un qualsiasi altro gruppo di persone associate per un’impresa ingiusta, riuscirebbero a combinare qualcosa se i loro componenti si facessero reciprocamente ingiustizia?”

“No di certo, perché nascerebbe inimicizia e discordia all’interno del gruppo”

“Giustissimo Trasimaco, proprio così. Ti ringrazio per aver risposto non solo con un sì o con un no”

“Lo faccio per gentilezza”

“Ne sono lieto. Ritornando a noi, in effetti i membri del gruppo non potrebbero agire come vorrebbero se vigesse solo l’ingiustizia tra di loro. Lo stesso, secondo te, non varrebbe anche per il singolo individuo?”

“Cosa intendi?”

“Che la sua anima non potrebbe agire se fosse segnata internamente dalla discordia; dunque, deve pur mischiarsi della giustizia nell’ingiustizia affinché si possa portare a termine un progetto comune, sebbene ingiusto, perché l’assolutamente ingiusto si dimostra assolutamente incapace di agire, non credi?”

“Penso che tu abbia ragione Socrate” ammise, seppure con riluttanza.

“E ancora Trasimaco… Secondo te, una qualsiasi cosa potrebbe espletare bene il proprio compito se a muoverla fosse un vizio e non una virtù?”

“Dimmelo tu…”

“Pensa all’occhio, la sua funzione è quella di vedere. La sua virtù è la vista mentre il suo vizio è la cecità. Come potrebbe, l’occhio, svolgere bene il proprio compito se alla virtù sua propria le prevalesse il suo vizio?”

“Non potrebbe, l’occhio sarebbe cieco” mi rispose

“Esattamente. Riconduciamo l’esempio al discorso sulla giustizia e precisamente all’immagine dell’uomo giusto. Premesso che in ogni sua attività qualsiasi uomo è mosso dall’anima, qual è la virtù dell’anima se non la giustizia?”

Convenimmo quindi che, poiché l’anima muove ogni azione dell’uomo, e le più nobili sono quelle di governare e di deliberare, in essa doveva prevalere la giustizia all’ingiustizia, solo in questo modo l’attività di governo avrebbe potuto svolgersi al meglio.

“E poiché alla giustizia corrispondono atti buoni, allora l’uomo giusto non può che vivere meglio ed essere molto più felice dell’uomo ingiusto” continuai.

Trasimaco non rispose, ne ebbe abbastanza e si ritirò dalla discussione, lasciandomi senza che io avessi ancora ben compreso cosa fosse la giustizia.

Continua…

5 pensieri su “La Repubblica – Libro primo

      1. Molto bello. Io sono una studentessa di Lettere Classiche, amo questo mondo e mi fa piacere il tuo tentativo di “rendere alla portata di tutti” un testo per niente facile come quello della Repubblica, ma ricco di spunti e riflessioni.

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