Il Simposio – discorso di Socrate

Al termine dell’elogio a Eros da parte di Agatone, Socrate intervenne per congratularsi, denunciando altresì il suo imbarazzo perché avrebbe dovuto parlare proprio dopo di lui, che era stato così eloquente…

“Il discorso di Agatone mi ha ricordato Gorgia” continuó Socrate “tanto che mi sarei aspettato che nel parlare, egli mi lanciasse contro la testa di Gorgia per trasformarmi in una statua di pietra, togliendomi in tal modo ogni possibilità di parola”.

(Platone si riferisce qui ad un famoso passaggio dell’Odissea di Omero: Ulisse ha il timore che Persefone gli scagli addosso la testa della Gorgone, mostro che ha la facoltà di ridurre in pietra chiunque la guardi. Da notare anche l’assonanza tra i due nomi: Gorgia e Gorgone).

“Nell’ascoltare i vostri interventi, inoltre, amici miei, mi sono accorto di non essere in grado di produrre un elogio al dio, almeno se fatto alla vostra maniera. Pensavo, infatti, per mia ingenuità, che sarebbe stato giusto dire la verità su Eros e che avremmo dovuto scegliere le più belle tra le cose vere su di lui, descrivendole e disponendole nel modo più consono. Se elogiare Eros significa attribuirgli le caratteristiche migliori, le più belle, mi pare che siate riusciti a farlo apparire bellissimo. Tuttavia, ve lo devo dire, tutte queste virtù che gli avete appiccicato addosso non lo caratterizzano per nulla nella realtà. E poiché non ho promesso di elogiare il dio in questo modo, e in ogni caso non sarei in grado di seguire il vostro esempio, parlerò come voglio se me lo permetterete. Dimmi tu, Fedro, se sei d’accordo che io parli a mio piacimento.”

Fedro e tutti gli altri accettarono di buon grado e Socrate iniziò interrogando Agatone.

“Allora Agatone, devo ammettere che hai iniziato bene il tuo elogio perché, prima di ogni altra cosa, hai deciso di definire chi sia Eros, occupandoti solo alla fine degli effetti che egli ha sull’operato degli uomini e su quello degli déi.”

“Ti ringrazio Socrate per l’apprezzamento” disse lui.

“Dunque, mio buon amico, rispondimi a questo, e fallo ora: Eros è amore per qualche cosa? Non considerare la domanda come se ti avessi chiesto se Eros è l’amore di un padre o di una madre. Piuttosto considera la domanda come se ti stessi chiedendo se il padre è tale in quanto padre di qualcuno”.

“Certamente, Socrate. Il padre è tale se lo è di qualcuno, per forza. È padre di una figlia oppure di un figlio”.

“Lo stesso vale per la madre, sei d’accordo?”

“Come no? Lo sono, Socrate” rispose.

“Il medesimo discorso, caro Agatone, vale anche per un fratello in quanto tale e per una sorella in quanto tale, o forse sbaglio?”

“Non sbagli. È così come dici.”

“Ora, prova a rispondere alla stessa domanda prendendo in considerazione l’amore. Eros, amico mio, è amore verso qualcosa o è amore di nulla?”

“È amore di qualcosa, Socrate. Senza dubbio!”

“Perfetto, Agatone. Quel qualcosa a cui pensi non rivelarmelo; invece, rispondi a questo: Eros, da parte tua, desidera o non desidera la cosa di cui è amore?”

“Eccome se la desidera…”

“E il desiderare, Agatone, non significa forse che non si possiede la cosa che si vuole? Pensaci bene… Chi mai potrebbe desiderare la grandezza se già ne fosse in possesso? E lo stesso discorso non potremmo farlo anche per la forza?”

“Sono d’accordo, Socrate. Nessuno potrebbe desiderare il possesso di ciò che ha già per sé.”

“Dunque, chiunque volesse una cosa di cui dispone, sia essa la forza, la velocità, la salute, o qualsiasi altra cosa che ci può venire in mente, altro non significherebbe che costui desidera possederla oltre che nel presente, anche nel futuro. Che ne dici? Non potremmo intendere in questo modo la questione?”

“Ammetto che è un buon modo per definirla”.

“Quindi, non cadremmo in errore se affermassimo che Eros è amore e desiderio di tutte quelle cose delle quali si sente la mancanza.”

“Certo, è proprio così!”

“Ripensiamo al tuo splendido elogio, Agatone. Ricordo bene ciò che hai affermato riguardo l’ordine e l’equilibrio sopraggiunto tra gli déi grazie alla nascita di Eros. Inoltre, hai definito Eros come un dio bellissimo e buonissimo. Parole tue, ricordi?”

“L’ho detto io, certo.”

“E hai detto bene, mio caro. Tuttavia, se ora convieni sull’immagine di Eros che abbiamo descritto insieme, allora come potrebbe il dio trattenere in sé la bellezza e la bontà?”

“Hai ragione, Socrate… così dicendo mi fai pensare di non aver parlato tanto bene quanto credevo”.

“Agatone non voglio interrogarti nuovamente e contraddire ciò che hai detto prima. Preferisco raccontare a voi tutti il discorso sull’amore che tempo fa mi fece una donna di Mantinea, tale Diotima. Una donna molto sapiente che, proprio come te, mio caro Agatone, iniziò col descrivermi l’essenza di Eros e solo in seguito fece cenno alle sue opere”.

“Ti ascoltiamo” dissero tutti i presenti.

“Bene. Anch’io le descrissi Eros usando parole molto simili alle tue, Agatone. Le parlai della sua magnificenza e di come egli fosse amore delle cose belle. Diotima, allora, usò con me gli stessi argomenti che ti ho esposto poc’anzi. Pressappoco mi disse: «Caro Socrate, Eros non è affatto bello e buono. Tuttavia, deve pur esistere un termine intermedio tra il bello e il brutto, tra il buono e il cattivo, tra il sapiente e l’ignorante. In quest’ultimo caso, per esempio, non è forse l’opinare rettamente, senza però essere in grado di fornire spiegazione, il giusto termine mediano? Devi sapere che Eros, mio buon Socrate, è anch’esso qualcosa di intermedio tra due estremi».

In questo modo parlò Diotima e le sue parole furono per me fonte di confusione. In effetti, tutti riconoscono Eros come un grande dio, beato e bello… «In realtà, Eros non è affatto un dio» mi disse lei «e implicitamente lo abbiamo ammesso entrambi, nel momento in cui abbiamo dichiarato che Amore non possiede né bellezza, né bontà. Eros è qualcosa che sta a metà tra il mortale e l’immortale, tra l’uomo e la divinità. Egli è un grande Demone, un Daimon che ha in sé il potere di fare da tramite tra gli déi e gli uomini. È una forza cosmica, capace di colmare il distacco tra gli esseri divini e i mortali e di unire l’universo a se stesso. Devi sapere che sono tanti i Demoni, caro Socrate, ed Eros è uno di loro».

Le chiesi allora come nacque Eros e Lei iniziò in questo modo: «Al banchetto per la nascita di Afrodite, dea della bellezza, era stato invitato anche Poros, l’Espediente, l’Ingegno, figlio della dea Metis, la Saggezza. Penia, la Povertà, l’Indigenza, si presentò alle porte per mendicare del cibo e vide Poros, addormentato nel giardino di Zeus, ubriaco di nettare. Devi sapere, Socrate, che all’epoca il vino non esisteva ancora. Penia, innamorata di Poros, approfittò dell’occasione per giacere con lui e subito rimase incinta di Eros. Per questo motivo Eros è seguace di Afrodite e amante del bello, perché è stato generato al banchetto organizzato per la nascita della dea della bellezza. Poiché figlio di Penia, Eros è tutt’altro che bello e delicato, bensì è duro, scarno, scalzo, senza dimora e povero. Tuttavia, poiché Poros, Ingegno, è suo padre, allora Eros si dimostra anche audace e coraggioso, sempre in cerca di intrighi, oltre che avido cacciatore di saggezza e di sapienza: egli è filosofo e gran sofista. Devi sapere che per sua natura, caro Socrate, Eros non è mortale, né immortale. Infatti, in un medesimo giorno egli è sia pieno di vita, quando vanno a buon fine le sue azioni, sia moribondo, nel caso opposto, per poi tornare in vita perché colmo della natura paterna. E poiché partecipa dell’essenza divina, egli è in grado di conquistare ogni cosa, seppure nulla gli rimanga, anzi, tutto gli sfugge dalle dita, sicché non è mai davvero ricco e neppure povero.

Eros, dunque, sta nel mezzo tra la sapienza e l’ignoranza. Certamente, nessuno degli déi aspira alla sapienza, dal momento che sono già sapienti. Gli ignoranti, all’opposto, non fanno filosofia perché non desiderano conoscere, anzi, chi è come costoro pensa erroneamente di sapere ogni cosa e giustamente non ritiene di dover desiderare ciò che già possiede.

Socrate, non è forse filosofo colui che sta in mezzo a questi due estremi? Eros sta tra la sapienza del padre e la povertà della madre e dunque è filosofo perché brama il bello e ciò che di più bello esiste: ovvero la conoscenza».

A me pareva che Eros fosse bello, buono, delicato nella sua propria essenza, proprio come lo hai descritto tu, Agatone. Inoltre, sostenevo che egli incarnasse l’amato e non colui che ama «L’amante è tutt’altra cosa rispetto all’amato» mi rispose lei «l’amante desidera il bello, il buono, il delicato… Proprio ciò che Eros non possiede e che brama».

Allora, chiesi a Diotima quali vantaggi arrecasse Eros agli uomini e lei mi rispose: «Non è forse vero che tutti gli uomini desiderano il bello e il buono? E che cosa amano in particolare questi uomini che amano il bello?» Il possedere le cose belle, le risposi io «E quale vantaggio arrecherebbe loro possedere tali cose?” Mi domandò lei… Ma io non fui in grado di rispondere.

«Eppure,» mi fece notare lei «non dovrebbe essere così difficile rispondere dato che la mia domanda equivale al chiedere quale vantaggio ottengono questi uomini dal possedere le cose buone» Ed io allora capii che l’aspirazione al bello e al buono è in realtà il desiderio di felicità. In effetti, chi è felice lo è senza provare alcun’altra aspirazione se non quella medesima, desiderio che accomuna tutti gli uomini, senza distinzione.

«Seppure Eros sia universale – continuò – noi siamo soliti pensare che alcuni uomini amano, mentre altri non amano. Ciò perché siamo avvezzi a separare una particolare forma di amore dal tutto, spacciandola per l’intero, e chiamando quella parte amore. Mentre le altre forme di amore le nominiamo in altro modo.

Pensa alla creazione, Socrate, ovvero alla Poiesis. L’atto del creare contempla ciò che permette ad ogni ente di passare dal non essere all’essere. Dunque, tutte le arti, tutte le scienze che soddisfano questo criterio, creano qualcosa e tutti gli artisti, tutti gli scienziati, sono creatori. Eppure, noi siamo soliti chiamare creatori solo i poeti e i musicisti, quindi una parte dell’intero la denominiamo come se fosse essa stessa l’intero.

Ascoltami mio caro: non facciamo noi tutti allo stesso modo con Eros? Ovvero, non chiamiamo amore solo un modo di essere dell’amore, escludendo tutti gli altri? Dimmi, Socrate, non ti pare amore per il bello anche il voler guadagnare oppure l’aspirare alla felicità per mezzo della ginnastica o della filosofia? Eppure, è pratica comune ricorrere al termine amore quasi esclusivamente in relazione a coloro che amano e ricercano la loro metà. L’amore, Socrate, è amare il bene, ovvero quella cosa che è propria dell’essere umano. Mentre ciò che gli è estraneo non può che equivalere al suo male. Mio caro amico, gli uomini amano il bene e aspirano a trattenerlo per l’eternità».

Diotima mi chiese quale fosse l’atto che meglio esplicitasse questo desiderio eterno dell’uomo e vedendo che indugiavo a rispondere, mi disse: «Socrate, tutti gli uomini sono gravidi secondo il corpo e secondo l’anima. Devi sapere che in un certo momento della vita in ogni creatura nasce naturalmente il desiderio di generare e questa fecondazione non può che avvenire nella bellezza, ovvero in armonia col divino. E cosa c’è di più divino e bello dell’unione tra uomo e donna?

Naturalmente, se dinnanzi alla bellezza è possibile concepire, non lo è di fronte al brutto, che procura sofferenza al gestante, il quale si contrae e non è in grado di partorire. Il brutto è disarmonia con la divinità e nel brutto non può che avvertirsi forte il desiderio per il bello, che è l’unica forza in grado di liberare dalle doglie. Il bello crea armonia e funge da Moira e da Ilitia nella generazione, ovvero da dea del destino e del parto, ed è la sola via per accedere all’immortalità». Le chiesi in che modo fosse possibile accedere all’eterno, e Lei a me: «Sai bene che tutti gli esseri viventi si sacrificano per i propri nati… Gli uomini lo fanno guidati dal ragionamento, gli animali, invece, sono guidati dall’istinto e rispondono alla natura mortale che impone loro di voler essere sempre».

Non capii le sue parole. Allora lei continuò in questo modo: «Caro Socrate, devi comprendere che ogni cosa mortale solo attraverso la generazione accede all’immortalità. Nell’universo tutto muta, i corpi, ma anche le parti dell’anima, i modi di fare, le abitudini, le opinioni, i desideri; la stessa conoscenza è soggetta a mutazione. I mortali sono in grado di mettersi in salvo dal cambiamento e dal nulla mantenendo in qualche modo se stessi identici. Ma ciò non è possibile se non sostituendo ciò che invecchia con qualcos’altro che è giovane e simile a loro. È questo l’unico modo possibile per partecipare dell’immortalità e per questo motivo ogni essere vivente protegge e predilige il figlio nato dalla propria carne, il proprio rampollo.

Tutti gli uomini desiderano e aspirano all’immortalità guidati dall’amore, Socrate; e per raggiungere questo scopo sarebbero pronti addirittura a morire. Solo in ragione dell’immortalità Alcesti si è sacrificata per Admeto, suo sposo. Così come Achille ha accettato di morire prematuramente per vendicare Patroclo. Tutti loro, Socrate, amavano l’immortalità.

Chi è fecondo rispetto al corpo ricerca l’immortalità nei figli. Diverso è il discorso per coloro che sono fecondi nell’anima, i quali aspirano a concepire le virtù, in particolar modo la temperanza e la giustizia, che sono proprie dell’ordinamento della Polis e dell’educazione familiare ateniese. Tutti gli innamorati che sono gravidi di tali virtù dell’anima, escono alla ricerca di coloro che hanno un’anima bella e nobile e con costoro parlano di ciò che è bello e buono e generano quelle cose buone e quelle virtù di cui abbiamo parlato. Il legame tra costoro è certamente più forte di quello che intercorre tra due amanti qualsiasi, perché dall’anima si generano figli ancora più immortali e più belli di quelli carnali. Ne sono esempio le leggi che Licurgo lasciò in dote a Sparta e allo stesso modo possiamo parlare di Solone».

Detto questo, Diotima volle iniziarmi ai misteri più alti su Eros, volle guidarmi alla scoperta dell’amore perfetto.

«Chi vuole percorrere questa strada – mi disse – lo deve fare sin da ragazzo, avvicinandosi agli uomini più belli, perché i bei corpi ispirano agli amanti le parole più belle. Presto, però, il giovane dovrà capire che la bellezza di un corpo è identica alla bellezza di altri corpi, quindi, abbandonerà l’idea di amare un solo corpo per sperimentare l’amore per tutti i corpi belli.

Il passo successivo sarà quello di comprendere quanto la bellezza dell’anima sia superiore a quella del corpo. Indirizzerà quindi il suo amore alle attività umane e alle leggi e, in tal modo, egli apprezzerà presto la bellezza della conoscenza, la quale è un mare sconfinato di bellezza e, nel contemplarla, partorirà splendidi discorsi, pieni di amore, sino a che riconoscerà l’unità, ovvero la sapienza nella sua massima espressione.

Ora, Socrate – continuò – cerca di porre molta attenzione alle mie parole: chi è stato educato a guardare le cose belle, nel modo che abbiamo descritto, sarà in grado di scorgere immediatamente qualcosa di meraviglioso, qualcosa che per sua natura è eterno, imperituro, che non nasce e non muore, non cresce e non diminuisce, che non è bello se non per se stesso e non in relazione a qualcosa di diverso da lui. Non ti parlo della bellezza di un volto, o delle mani, né di nessun’altra parte del corpo e neppure della bellezza di un discorso o di una scienza. Ti parlo del bello in sé, del quale partecipano tutte le cose belle terrene, ovvero di quelle cose che nascono e che muoiono. L’Idea del Bello, Socrate, non patisce della loro generazione e della loro corruzione anzi, rimane sempre uguale a se stessa.

Contemplare il Bello per ciò che è, Socrate, rappresenta il momento più alto per un uomo e quand’egli raggiunge queste vette di conoscenza, allora è in grado di generare le vere virtù».

In questo modo Diotima mi indicò la via per contemplare l’eterno.

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