La Repubblica – Libro ottavo

platone

Leggere “La Repubblica” non è un esercizio facile, almeno per chi non possiede gli strumenti adatti per farlo. Di seguito, propongo una rivisitazione del testo di Platone, con il fine di renderlo più semplice e con l’auspicio che la lettura possa rappresentare un primo passo per avvicinarsi all’originale.

Libro ottavo

Libro ottavo

“Bene Glaucone, dopo aver descritto nel dettaglio che cosa sia realmente necessario per mantenere saldo uno Stato fondato secondo giustizia, dovremmo ora indagare sugli altri quattro tipi di costituzioni esistenti, le stesse delle quali abbiamo accennato in precedenza.”

“Ti ascolteremo tutti volentieri, Socrate” mi disse lui.

“La migliore è certamente l’apprezzatissima costituzione cretese e spartana. Al secondo posto porrei l’oligarchia e ve lo devo confessare cari miei: è questo un tipo di governo che porta solo guai. Come terza parlerei della democrazia e in ultima istanza direi che si dovrebbe trattare della terribile tirannide. Vi sembra che, oltre la nostra, siano queste le uniche forme di governo esistenti?”

“Credo che potremmo menzionarne molte altre, Socrate. Tutte parecchio strane” mi rispose Glaucone.

“Certamente, perché le costituzioni ricalcano il comportamento umano e prendono origine dal costume dei popoli. Tuttavia, mi pare che queste cinque siano le forme fondamentali di governo e che da esse potremo far discendere le caratteristiche dominanti dell’anima. Non credete?”

“Certamente.”

“Ora, poiché la costituzione dello Stato giusto, della quale abbiamo parlato abbondantemente, rappresenta la sintesi dei caratteri migliori dell’animo umano, penso che da questo momento in poi sarebbe corretto occuparsi di quelli peggiori.”

“Dunque facciamolo” mi disse Glaucone.

“Bene, da un lato vedo il carattere litigioso e quello amante degli onori, che sono propri del governo spartano; dall’altro quello oligarchico, democratico e tirannico. Dobbiamo fare in modo, ragazzi miei, che quest’analisi ci conduca a scoprire il carattere ingiusto di cui abbiamo parlato all’inizio di tutta questa nostra trattazione, lo stesso che poi contrapporremo alla giustizia. In tal modo, forse, saremo in grado di comprendere con sicurezza quali siano i reali effetti sulla felicità degli individui, sia della giustizia, sia dell’ingiustizia; e scegliere, con fede di ragione, se seguire o meno il nostro Trasimaco.”

“Non possiamo che comportarci in questo modo, caro Socrate.”

“Perfetto! Esattamente come abbiamo fatto in precedenza con lo Stato istituito secondo giustizia, anche ora dobbiamo analizzare dapprima il tipo di governo in quanto tale, dopo di che passeremo ad approfondire le caratteristiche dell’individuo che ne è rappresentante. Naturalmente, questo metodo lo applicheremo a tutte e quattro le casistiche che abbiamo enunciato.”

“Facciamolo, allora” mi disse.

“Parliamo della costituzione spartana, ovvero della cosiddetta timocrazia. Essa, come cercherò di dimostravi, ragazzi miei, ha preso origine dall’aristocrazia. Iniziamo dicendo che ogni costituzione si modifica a partire da una condizione di disaccordo all’interno del gruppo di potere. Tale disaccordo è parte del normale ciclo naturale che vede le cose prima nascere e poi corrompersi.”

“Non potrebbe essere altrimenti.”

“Pensiamo alle regole che abbiamo imposto alla riproduzione dei nostri custodi, Glaucone. Ci sono dei periodi che sono migliori di altri per concepire i figlioli; e sono ricavabili matematicamente, attraverso un particolare numero geometrico. Se esso, per varie ragioni, dovesse rimanere sconosciuto ai custodi o non venisse rispettato, allora si concepirebbero figli poco dotati sia per il comando che per la difesa dello Stato. Così facendo si determinerebbe una disarmonia interna alla polis, condizione che sfocerebbe in continue guerre e contese. Alla lunga, peraltro, tale disequilibrio concorrerebbe a formare una classe dominante corrotta, nella quale la generazione del ferro e del bronzo si mischierebbe con quella dell’argento e dell’oro.”

“Sarebbe una situazione disastrosa” mi disse.

“Certamente, Glaucone. Si creerebbero così tensioni tra i materiali meno pregiati che tirerebbero l’anima dalla parte dell’avidità e del possesso; e quelli nobili, ovvero l’oro e l’argento, che opporrebbero resistenza per volgere lo sguardo alle virtù più elevate. La costituzione che se ne ricaverebbe, partendo da questi presupposti, risponderebbe ad una forma di mediazione, ossia esprimerebbe le fattezze di un governo intermedio tra l’aristocrazia e l’oligarchia.”

“In che modo?”
“Mio caro, in parte rispecchierebbe entrambe le forme di governo; tuttavia manifesterebbe anche alcune caratteristiche proprie.”

“Quali sarebbero queste ultime?” mi chiese.

“Penso al fatto che a governare ci sarebbero uomini alquanto rozzi, certamente predisposti all’arte della guerra, all’educazione fisica e alla caccia piuttosto che alla filosofia.”

“Non potrebbe essere altrimenti.”

“Uomini altresì bramosi di ricchezze e avidi di denaro e di piaceri. In uno Stato del genere il bene e il male tenderebbero a mischiarsi e il carattere dominante dei custodi si manifesterebbe nell’atteggiamento aggressivo e nella volontà di superare il prossimo.”

“Sono d’accordo con ciò che dici, Socrate” mi disse Glaucone.

“Un uomo che abbia una simile volontà di supremazia pare proprio simile al nostro Glaucone” intervenne Adimanto.

“Su questo si, amico mio, hai ragione” gli risposi “ma non per altre caratteristiche. Cercherò di descrivervelo: l’uomo timocratico è un individuo caparbio, poco vicino alle Muse, seppure non sia loro ostile. È altresì un buon ascoltatore ma non un grande oratore. Con gli schiavi è brusco ma certo non è portato a disprezzali; brama il potere, sì, ma lo vuole conquistare solo attraverso le proprie gesta in battaglia.”

“Direi che un carattere del genere è davvero quello che meglio si addice a un timocratico.” disse Adimanto.

“Ti dico, mio caro, che un uomo di questo tipo non deve avere conosciuto le ricchezze da giovane, ma se ne avvicina da vecchio.”

“Perché mai da vecchio, Socrate?”

“Per avidità, Adimanto, e perché col tempo si è allontanato dall’arte della dialettica.”

“Come si forma il carattere di un giovane timocratico, Socrate?” mi chiese.

“Pensa a una famiglia nella quale il padre è un galantuomo ma che non riesce ad emergere in ambito pubblico. La moglie, considerata inferiore dalle mogli di uomini più in vista del proprio, inizia quindi a parlare male del marito in famiglia, definendolo uno smidollato; e il figlio, ascoltando queste stupide litanie, è condotto a comportarsi in modo opposto rispetto al fare paterno.”

“In effetti, le donne spesso si comportano in questo modo” mi disse.

“Questi ragazzi sono quindi condizionati da forze tra loro in opposizione. Da una parte il padre, in grado di stimolare la parte razionale dell’anima; dall’altra la forza contraria, quella di cui abbiamo parlato, che ne governa la parte concupiscibile e irascibile. Il risultato? Un uomo dal carattere altero e ambizioso.”

“Hai descritto benissimo come si forma un’indole di questo genere.”

“Ora parliamo dell’oligarchia, Adimanto.”

“Ti ascolto, Socrate.”

“Non è forse l’effetto di una degenerazione della timocrazia?”
“Non saprei.”

“L’oligarchia, mio caro, è quel governo al quale partecipano solo i ricchi. Vediamo nel dettaglio come si passa dalla timocrazia all’oligarchia.”

“Facciamolo.”

“Io credo che il motivo del passaggio dall’una all’altra forma di governo risieda nella bramosia di denaro e di ricchezza. Non è forse per incrementare i propri beni che i custodi piegano a loro vantaggio le leggi e non pensi che chi tiene in così alta considerazione i beni materiali non possa che allontanarsi dalle virtù?”

“Credo che sia proprio così, Socrate.”

“In questo tipo di governo, a differenza di quello precedente, Adimanto, non vengono apprezzati gli uomini ambiziosi e in cerca di gloria, bensì gli avidi di denaro. Ai ruoli di comando accedono per legge solo gli individui con un reddito elevato e questa condizione elitaria viene difesa strenuamente, attraverso la forza e l’intimidazione.”

“Socrate, puoi spiegarci quali sono i difetti maggiori di un simile modo di governare?”

“Il primo tra tutti è rappresentato dal fatto che al governo vi sono solo i ricchi e ciò non significa, miei cari, che essi davvero rappresentino i più meritevoli al ruolo.”

“Certamente.”

“Un’altra questione è definita dal fatto che questo Stato non si mostra affatto come unitario, bensì duplice; con da una parte i ricchi e dall’altra i cittadini meno abbienti. Inoltre, proprio a causa di questa divisione interna, non credete anche voi che ricchi e poveri finiscano per tramare gli uni contro gli altri?”

“E come potrebbe non essere come hai detto tu adesso…” mi dissero.

“E ancora: uno Stato del genere credo fermamente che non possa dichiarare guerra ad altri Stati.”

“Perché mai?” mi chiese Adimanto.

“Perché ricchi e poveri si temono l’un l’altro. Oltre a ciò, i ricchi, così avidi di denaro, mal volentieri investirebbero risorse proprie con il fine di armare al meglio i loro sudditi. Il risultato lo potete immaginare da soli.”

“Tutto ciò è molto grave” mi disse.

“Certamente, mio caro! In uno Stato oligarchico, inoltre, è ben evidente la presenza di una particolare categoria di poveri nullatenenti e nullafacenti, ovvero di quella masnada di individui che si sono ritrovati in disgrazia dopo aver sperperato tutti i propri averi. Costoro sono per lo Stato quello che i fuchi rappresentano per l’alveare; si tratta però di fuchi col pungiglione, che si comportano in tal modo a causa della loro cattiva educazione.”

“Hai proprio ragione, Socrate.”

“Gli altri mendicanti, caro Adimanto, ovvero quei fuchi inoffensivi, condividono il loro destino con tutti questi malfattori che non sono più al governo.”

“Hai detto benissimo”.

“Ora, guardiamo meglio alle caratteristiche dell’uomo oligarchico.”

“Facciamolo.”

“Non deriva costui dall’uomo timocratico?”

“In che modo ne sarebbe il prodotto?”
“Pensiamo a quest’ultimo come di un uomo fiero e orgoglioso nell’animo; ovvero parliamo di un soggetto fortemente legato alla fama e alla gloria. Egli, ad esempio, nel caso in cui perdesse tutti i suoi averi, cadendo in disgrazia, lotterebbe strenuamente e farebbe di tutto per ricostituire nel tempo un nuovo patrimonio.”

“Come no, Socrate. Sarebbe più che giusto se si comportasse così.”

“Certamente! Tuttavia, nel tempo, egli sostituirebbe tutti quei valori che lo guidavano in precedenza con una mentalità oligarchica.”

“Cosa intendi dire, Socrate?”

“Voglio dire che costui passerebbe dall’apprezzare gli onori, all’amare le ricchezze.”

“Direi che hai descritto bene un simile carattere” mi disse Adimanto.

“Dimostriamolo meglio, caro amico. Abbiamo detto che l’uomo oligarchico aspira con tutto se stesso alla ricchezza.”

“Lo abbiamo detto.”

“Egli, quindi, considera meno importanti di essa sia l’educazione, sia la cultura.”

“Se il suo primo scopo è quello di accumulare ricchezza, allora l’educazione e la cultura passano in secondo piano, non può che essere così.”

“Bene. Proprio a causa di ciò, crescono in lui i germi dell’avarizia e della malvagità, sentimenti che in qualche modo sono controbilanciati dal suo primo sentimento, ossia la bramosia di ricchezza. Dunque, l’uomo oligarchico non può che caratterizzarsi per avere molti dissidi interiori; è un individuo sdoppiato dalle sue passioni ed è vittima di tutte le sue maschere. Appare come un uomo per bene di fronte alla folla seppure la sua anima, così divisa, non può che rappresentare un ostacolo per ogni sua attività di governo. Ti sembra che io lo abbia descritto bene?”

“Direi di si, Socrate” mi rispose.

“Parliamo ora della democrazia e facciamolo sulla falsa riga di prima, ovvero trattiamo subito dello Stato democratico e poi delle caratteristiche dell’uomo democratico.”

“Facciamolo.”

“L’oligarchia, mio caro, degenera in democrazia allorché l’uomo oligarchico diviene insaziabile di quel bene a cui egli aspira, ossia la ricchezza.”

“Non capisco bene quello che intendi dire, Socrate.”

“Pensa a coloro che governano in una oligarchia, Adimanto. Credi che costoro vogliano limitare per legge la possibilità dei giovani di dissipare i propri averi?”

“Non saprei, Socrate.”

“Se facessero in questo modo come potrebbero ottenerne vantaggio, divenendo in tal maniera ancora più ricchi e potenti?”

“Hai ragione, non potrebbero!”

“Secondo il tuo parere, Adimanto, possiamo affermare che la temperanza sia la caratteristica dominante in uomini di questo tipo, ossia in individui che bramano la ricchezza?”

“Direi proprio di no, Socrate.”

“Governanti di questo genere, caro mio, imporrebbero mai una legge per obbligare i cittadini a comportarsi onestamente di fronte alla stipula di un contratto?”

“Non lo farebbero, perché con una legge del genere verrebbero meno le condizioni per arricchirsi alle spalle di qualcun altro.”

“Bene, Adimanto, hai capito quello che intendevo dire. Tali governanti, inoltre, non farebbero che rendere i propri figli simili a loro, ovvero pigri, schivi della fatica e schiavi dei beni materiali. Tutto ciò a discapito della loro forza fisica.”

“In che modo?”

“Mio caro Adimanto, credi forse che questi ricchi, se posti al fianco dei sudditi in qualsiasi manifestazione, in battaglia, in gare ginniche, si dimostrerebbero più forti dei loro sottoposti dal punto di vista fisico?”

“Forse no.” mi rispose.

“L’ozio certamente non irrobustisce il fisico, non credi? In simili casi, i sudditi, non si renderebbero forse conto della loro superiorità? E non potrebbero avere la meglio sui ricchi prendendo loro il potere e in tal modo spartendosi le cariche pubbliche?”

“Direi di si, Socrate.”
“Bene, ecco come credo che dall’oligarchia si passi alla democrazia. Proprio nel modo che ti ho appena descritto.”

“Credo che non avresti potuto dirlo meglio.”
“Adimanto, pensi che il democratico sia un uomo libero?”
“Credo di si.”
“E non credi che lo Stato democratico permetta ai suoi cittadini di fare tutto ciò che essi vogliono?”

“Presumo di si, Socrate.”

“È esattamente come ti ho detto, Adimanto. In uno Stato di questo tipo potremo trovare molti generi di cittadino, esattamente come un mantello ricamato di fiori sgargianti d’ogni fattura. Ti direi, caro amico, che chiunque volesse fondare uno Stato altro non dovrebbe fare che andare in uno Stato democratico e scegliersi la forma di costituzione a lui più gradita, perché in una democrazia potremmo davvero trovare ogni genere di governo, esattamente come in un mercato.”

“Credo proprio che tu abbia ragione, Socrate.”

“In uno Stato di questo tipo non si risponderebbe personalmente a nessuno, a nessuna legge, a nessuna imposizione. Non ti sembra un bellissimo sistema di vita?”

“Probabilmente si, almeno inizialmente lo vedrei bene…”

“In uno Stato democratico non sarebbero importanti i precetti educativi che abbiamo definito nel nostro Stato ideale e chiunque potrebbe governare con grande seguito, se solo si dimostrasse massimamente disponibile nei confronti degli altri.”

“Effettivamente, sembra un ottimo modo di concepire lo Stato.”

“Ed eccolo quindi, uno stato democratico che si presenta nella sua forma variopinta e nella sua anarchica disposizione interna. Secondo voi, miei cari, come si genera un uomo democratico?”
“Diccelo tu, Socrate. Ti ascolteremo volentieri” mi rispose Adimanto.

“In questo modo, figliolo, sempre partendo dall’individuo dello Stato che lo precede logicamente. Un padre oligarchico alleverebbe suo figlio alla parsimonia e ad evitare le spese superflue, non siete forse d’accordo con me?”
“Certamente!”

“In tal senso, i giovani crescerebbero con la sicurezza che esistono desideri necessari e desideri superflui.”

“I primi da soddisfare e i secondi da non assecondare” mi disse.
“Proprio così, Adimanto. Ne convieni che il desiderio di mangiare, per mantenersi in forza e in salute, deve fare parte della prima categoria?”
“Certamente, Socrate.”

“Altri invece rappresentano il superfluo e i giovani devono essere educati a non considerare appetiti di quel tipo, proprio come hai detto tu poc’anzi.”
“Vero, Socrate.”

“Non si potrebbe dire che il superfluo crea danno, mentre il necessario crea profitto?”

“Assolutamente si!”

“E la stessa cosa, oltre che per il cibo, lo si potrebbe affermare per l’amore e per tutti gli altri appetiti, o sto sbagliando?”.

“Non sbagli affatto, Socrate. Ne sono convinto anch’io!” mi rispose.

“E colui che chiamavamo fuco, non è forse chi è governato dal superfluo mentre l’oligarchico lo è dal necessario?”
“Certamente.”

“Dunque, quando un giovane oligarchico viene a contatto con il superfluo e cede alle sue tentazioni, non vede forse la propria natura trasformarsi da oligarchica in democratica?”

“Per forza” mi rispose.

“Certo sarebbe una vera battaglia nel suo animo se alle tentazioni esterne si opponessero gli ammonimenti paterni.”

“Senza alcun dubbio, Socrate”.

“E queste opposte passioni non potrebbero condurlo a soppiantare ogni sua pregressa virtù, mio caro?”

“In che modo?”
“Se si allontanasse dagli insegnamenti paterni, a causa dei consigli esterni, il giovane oblierebbe la sua vecchia natura trasformando la parsimonia in taccagneria, la temperanza in viltà e il pudore in stoltezza”.

“Hai perfettamente ragione.”

“E in tal modo questi giovani abbraccerebbero la prepotenza, confonderebbero l’anarchia con la libertà e la sfrontatezza con il coraggio. Inoltre, penso che un uomo di questo tipo non potrebbe che lasciarsi andare allo spreco.”

“Lo credo anch’io, Socrate.”

“Certo che se avesse la fortuna di non ridursi sul lastrico, superata questa fase acuta delle passioni, avrebbe l’occasione di vivere con un certo equilibrio la propria vecchiaia. Sarebbe in tal modo possibile per lui passare da un piacere all’altro – solo dopo averne consumato per intero uno, però, passerebbe a quello successivo – non facendo alcuna distinzione tra i piaceri, ovvero tra quelli necessari e quelli superflui, accogliendoli tutti come ugualmente necessari. Costui sarebbe la raffigurazione di un uomo eclettico, pronto ad accondiscendere ad ogni suo appetito, fosse esso quello di oziare oppure di filosofeggiare o di governare o ancora di intraprendere una spedizione militare.”

“Un tipo del genere non potrebbe che comportarsi come lo hai descritto.”

“Ed egli sarebbe la rappresentazione fedele di uno Stato in cui la legge è uguale per tutti, uno stato dove vige la democrazia; e sarebbe invidiato da uomini e donne perché porterebbe in sé una moltitudine di modelli di costituzioni e di modi d’essere.”

“Non avresti potuto descriverlo meglio.”

“A questo punto non possiamo che parlare della tirannia e del suo sommo custode: il tiranno.”

“Facciamolo, presto.”

“La tirannide non può che prendere le mosse dalla democrazia e la sua genesi deve ricalcare le medesime modalità con le quali l’oligarchia ha dato spazio alla democrazia.”

“In che modo, Socrate?”
“Pensaci bene, amico mio. L’oligarchia non vede la ricchezza come il bene più prezioso tra tutti?”
“Certamente.”

“E la degenerazione di questa forma di governo non è forse provocata dal desiderio insaziabile per il suo sommo bene?”

“Si Socrate, esattamente come hai detto tu poc’anzi.”

“E la democrazia, Adimanto, non ha forse la libertà come bene prioritario a cui tendere?”
“La libertà, certamente!”

“Dunque, mio buon amico, la democrazia fa sorgere l’esigenza della tirannide nel momento in cui la libertà degenera in anarchia; ovvero quando i cittadini si vedono governanti, i figli padri, i meteci cittadini, gli scolari maestri e gli schiavi uomini liberi. In questa condizione di libertà assoluta nessuno intende più rispettare le leggi perché non vuole sentirsi soggetto ad alcun tipo di padrone; allora la democrazia soffoca e si produce il contrario della libertà, ovvero la schiavitù.”

“Una condizione ben poco auspicabile, Socrate.”

“Ora, abbiamo visto che esistono due tipi di persone: il primo tipo è rappresentato dagli spendaccioni e dagli oziosi, sono tutti dei fuchi col pungiglione. Gli altri sono più indecisi e codardi dei primi, anch’essi dei fuchi ma senza pungiglione.”

“Certamente, ne abbiamo parlato a fondo in precedenza.”

“Potremmo affermare, senza paura di essere smentiti, che in tutti gli Stati entrambe queste figure debbono essere considerate come degli elementi perturbatori, individui da controllare e possibilmente da estirpare.”

“Assolutamente.”

“Bene, ora direi di affrontare la questione in questo modo: dividiamo in linea teorica lo Stato democratico in tre classi differenti.”

“Facciamolo.”

“Nella prima inseriamo le figure perturbatrici di cui abbiamo parlato. Bada bene però, Adimanto, che nello stato democratico tali individui sono più forti e battaglieri che in quello oligarchico.”

“Perché mai, Socrate?”

“Perché nell’oligarchia essi non hanno alcun potere, fanno infatti parte della classe estromessa dal governo cittadino. Mentre in democrazia possono prendere parola ed essere ascoltati da tutti.”

“Ora ho ben compreso quello che vuoi dire.”

“Vi è poi la classe di coloro che si arricchiscono meglio di altri. Parlo dei crematisti, degli usurai. Presso di loro i fuchi trovano miele in abbondanza, ricchezze da utilizzare a proprio vantaggio.”

“Foraggio per loro, insomma.”

“Esattamente, mio caro. La terza classe è rappresentata dal popolo, ovvero da coloro che non rivestono cariche politiche, che pensano solo al proprio lavoro, mantenendosi lontano dagli affari. Si tratta di uomini semplici che dispongono di poche risorse personali. Adimanto, non credi che in uno Stato democratico sia proprio questa la classe che abbia il potere maggiore?”

“Perché mai, Socrate?”

“Perché è la classe più numerosa quando si riunisce.”

“Quello che dici è vero, però sappiamo tutti che tali individui si riuniscono mal volentieri, a meno che non ci sia un vantaggio per loro.”

“In effetti, essi lo fanno principalmente per depredare parte delle ricchezze dei ricchi e redistribuirle alla massa, naturalmente dopo aver tolto la fetta più grande per i loro capi.”

“E i ricchi rimangono con le mani in mano?” mi chiese.

“Naturalmente no, Adimanto. Chi è stato spogliato di parte delle proprie ricchezze cerca di difendersi, parlando al popolo con l’intenzione di avvicinarlo a sé. In tutta risposta, i capi democratici li additano come oligarchici, con l’intenzione di screditarli. Discredito che si realizza concretamente, poiché i ricchi divengono realmente oligarchici in reazione alle calunnie subite.”

“Sarebbe inaccettabile vivere in una condizione del genere.”
“Dici il vero, amico mio. In un clima di questo tipo sorgono pertanto giudizi, dibattiti, denunce reciproche; sino a che il popolo decide di affidarsi a un protettore, proprio colui che nel tempo prenderà le fattezze del tiranno.”

“Come è possibile che accada?”

“Avviene esattamente come nel mito che tratta del tempio di Zeus Liceo in Arcadia. Lo conosci?”

“Certamente! È colui che assaggia le interiora umane finemente spezzettate e mischiate con quelle di altre vittime e che si trasforma in un lupo.”

“Esattamente! Così il protettore che manda in esilio o a morte i suoi concittadini, che fa promesse che non può mantenere ai suoi protetti, non può che trasformarsi o in un lupo o in un tiranno. Stiamo parlando della stessa persona che aveva sobillato il popolo contro i ricchi, che aveva preteso che gli fosse assegnata una scorta per la sua sicurezza, poiché in nome del popolo si era procurato parecchi nemici. Naturalmente egli non può subito palesare le sue vere intenzioni e inizialmente mostra sorrisi e disponibilità verso tutti, seppure nell’ombra si adoperi per creare continui conflitti interni allo Stato.”

“Perché mai?” mi chiese.

“Perché il popolo continui a sentire forte l’esigenza di una guida, di un capo.”

“Hai ragione, è logico che sia così.”

“Inoltre, il suon scopo è anche quello di impoverire i suoi sudditi, con l’imposizione di tasse e di balzelli, in modo che siano forzati a pensare solo al proprio sostentamento e non all’escogitare complotti a suo danno.”

“E se qualcuno lo contestasse?”
“Lo farebbe eliminare! Bada bene che quest’uomo non può fidarsi di nessuno e deve circondarsi solo di gente mediocre, poco intelligente, che sta al suo fianco per paura e per avidità e non certo per fedeltà.”

“È questo il destino del tiranno, ovvero quello di circondarsi di gente sempre più vile.”

“Il tiranno, inoltre, fa uso della favella dei poeti, per intorpidire la mente dei sudditi e per manipolare la loro opinione. Ti dico, amico mio, che la voce dei poeti è molto importante sia per le costituzioni democratiche che per le tiranniche. Il suo pregio diminuisce, invece, man mano che si ascende alle costituzioni più elevate. Caro Adimanto, secondo te, se il popolo si stancasse di questa condizione e tentasse di scacciare quell’uomo, pensi che ci riuscirebbe?”
“Sarebbe molto difficile, perché il popolo in quanto padre, si renderebbe ben presto conto che il figlio da lui stesso generato e sostenuto è diventato ormai troppo forte.”

“Esattamente mio caro amico. I cittadini, da liberi, si ritrovano ora schiavi di schiavi, servi di servi, perché tra i fidati del tiranno vi sono anche i loro schiavi, da costui liberati e fatti suoi consiglieri.”

“Una condizione misera che hanno loro stessi determinato.”

“Purtroppo è così. Ora, Adimanto, credi che io abbia spiegato bene il perché si passi dalla democrazia alla tirannia?”

“È stata una presentazione più che esauriente, Socrate” mi rispose.

Lascia un commento