La Repubblica – Libro sesto

platone

Leggere “La Repubblica” non è un esercizio facile, almeno per chi non possiede gli strumenti adatti per farlo. Di seguito, propongo una rivisitazione del testo di Platone, con il fine di renderlo più semplice e con l’auspicio che la lettura possa rappresentare un primo passo per avvicinarsi all’originale.

Libro sesto

Libro Sesto

“Ora, caro Glaucone, siamo in grado di distinguere tra chi è filosofo e chi non lo è, ossia tra colui che contempla ciò che permane costante in se stesso e chi si ferma alla molteplicità del variabile. Filosofo è colui che ama la sostanza che mai muta, ossia che non è soggetta al nascere e al perire, alla generazione e alla degenerazione. I filosofi, inoltre, per loro natura, amano la verità e odiano la menzogna e sono i migliori garanti della custodia delle leggi e delle tradizioni dello Stato.”

“Non avresti potuto dirlo meglio, Socrate.”

“La verità, mio caro Glaucone, è come la sapienza e il filosofo le ama entrambe nella loro interezza.”

“Come darti torto.”

“Dunque, Glaucone, il filosofo è colui che ama la sapienza e ripudia la menzogna, applicandosi sin da giovane all’uso della verità. Inoltre, usa le sue energie per conoscere e si disinteressa dei beni materiali. Nemmeno la morte può apparire come paurosa dinnanzi a colui che contempla la verità dell’essere.”

“Non potrebbe essere altrimenti.” mi disse.

“E dovrà essere posato, misurato nelle parole, temperante e avere buona memoria. Se così non fosse, ovvero se si dimenticasse quello che con fatica ha appreso attraverso lo studio, allora finirebbe con l’odiare se stesso. Mio caro amico, non affideresti solo a uomini come questi che ti ho descritto la custodia della polis?”

Intervenne qui Adimanto: ”Caro Socrate, i tuoi ragionamenti sono indiscutibili per tutti noi che non abbiamo alcun mezzo per dimostrare l’opposto di ciò che dimostri a parole. Tuttavia, la realtà dei fatti parla dei filosofi come di persone al di fuori dell’ordinario, come uomini stravaganti e dai più ritenuti inutili ai fini dello Stato”.

“In verità ti dico che non sbagliano tutti coloro che li definiscono nel modo che hai detto.” gli risposi.

“Ma come, Socrate? Come possiamo pretendere noi, allora, di dimostrare che i filosofi possono prendere il potere e governare, nel momento in cui concordiamo sul fatto che siano persone politicamente inutili?”.

“Ti risponderò attraverso l’uso di metafore, mio caro Adimanto, seppure personalmente non sia abituato ad agire in questo modo. Supponiamo che il capitano di una nave, che supera in forza e in prestanza fisica tutti gli altri componenti dell’equipaggio, sia un po’ sordo e un po’ miope, oltre che poco esperto nella navigazione.

Supponiamo altresì che parte della ciurma si senta in diritto di guidare la nave, seppure nessuno di loro ne abbia le capacità, asserendo che l’arte della navigazione non necessiti di un maestro ma della sola pratica. Costoro sarebbero pronti a sostenere la loro tesi con la forza e, sempre attraverso la forza e l’inganno, scavalcherebbero volentieri l’autorità del capitano.

Codesti marinai non hanno certo a cuore nulla di ciò che fa parte dell’arte della navigazione, ossia il tener conto del clima, delle stagioni, del cielo, degli astri, dei venti; e di fronte a loro anche il più virtuoso tra i capitani non potrebbe che passare per un inconcludente chiacchierone.”

“Non posso che darti ragione, caro Socrate” disse Adimanto.

“Quindi, a chi osserva che i filosofi non sono apprezzati, tu raccontagli questa metafora e forse capiranno il motivo del trattamento a loro riservato. L’inutilità dei filosofi deriva dal fatto che chi è ora al governo non è all’altezza del proprio ruolo e non sa servirsi delle capacità di chi è naturalmente predisposto al governare. Non mi pare affatto usuale che sia il capitano ad andare dai suoi marinari implorandoli di fargli governare la nave, così come non è normale che il sapiente vada a bussare alla porta dell’ignorante. Non è forse il malato a cercare il medico e non il contrario?”

“È proprio come dici tu, Socrate.”

“Dimostriamo meglio, ora, perché sia da preferire il filosofo a chi è ora al governo.”

“Facciamolo.”

“Come abbiamo detto, il filosofo è colui che non si sofferma sulla molteplicità delle opinioni, bensì desidera possedere la verità delle cose e lo fa grazie alla parte dell’anima predisposta a tale compito.”

“Non potrebbe essere che così.” affermò Adimanto.

“E il perseguire il vero non corrisponde al vivere una vita autentica?”

“Certo, caro Socrate.”

“Eppure, mio caro, ci sono uomini che, seppure predisposti al volgersi alla verità, finiscono col subire una degenerazione della propria natura. Non possiamo chiamare costoro malvagi?”

“Potremmo.”

“Vi sono poi altri che imitano i filosofi, pur non possedendo le virtù innate che le sono proprie, e nel professare la filosofia attirano a sé la brutta fama di cui abbiamo parlato in precedenza.”

“Parli dei sofisti.”

“Proprio di loro.”
“Ma dimmi, Socrate, quali sono i processi di degenerazione a cui possono andare incontro i filosofi?”

“Partiamo dal presupposto che proprio tutte quelle doti che sono proprie del filosofo, sono anche le stesse che, prese una per una, hanno il potere di condurlo alla sua rovina. Diciamo che qualsiasi natura, anche la più dotata, se non è nutrita a dovere risulterà peggiore persino della più mediocre. Ciò accade ai giovani filosofi che non ricevono la doverosa educazione e che vengono ammaliati e male guidati dai discorsi dei sofisti; i quali li espongono, altresì, ai condizionamenti della folla. I sofisti chiamano sapienza la capacità di prevedere gli umori e gli istinti della folla, come se quest’ultima si trattasse di un animale selvaggio, e sfruttano a proprio vantaggio questa abilità. Non sei d’accordo con me, Adimanto, quando affermo che i sofisti non sono in grado di dare definizioni del vero Bello e del vero Bene se non nella forma del ridicolo?”

“Non gli ho mai sentito dare una definizione che non fosse tale per come l’hai appena descritta, Socrate.”

“La folla, caro Adimanto, non crede all’esistenza del Bello in sé o del Bene in sé; ecco perché la folla ripudia la filosofia e chi ne è cultore.”

“Non può che essere così come lo dipingi.”

“Dicevamo, Adimanto, che la degenerazione del filosofo può derivare dalla degenerazione delle stesse doti che lo caratterizzano come tale; ossia la predisposizione all’apprendimento, la memoria, il coraggio e la magnanimità.”

“Come è possibile che accada tutto questo?”

“Ciò accade nel momento in cui queste sue virtù divengono occasione per lui di superbia.”

“E come può essere?” Mi chiese.

“Pensiamo ad un ragazzo che abbia natura da filosofo e che abbia la fortuna di nascere in una famiglia altolocata, oltre che di essere cittadino di un grande Stato. Non ne nascerebbe la possibilità ch’egli si riempia di boria e di esaltazione? Allontanandosi così dalla sua naturale inclinazione?”

“Senza dubbio, Socrate.”

“E non sarebbe persuaso dai suoi simili a lasciar perdere la filosofia nel caso in cui tentasse un avvicinamento?”.

“Non potrebbe che avvenire in questo modo.”

“Questi uomini che, pur naturalmente predisposti, non proseguono sulla strada della filosofia, non possono che vivere in modo inautentico, non sei d’accordo con me? E in tal maniera lasciano dei posti vacanti, dei quali si appropriano uomini indegni al pensiero filosofico procurando, dunque, discredito a quest’arte.

Rimangono quei pochi fortunati, forse esiliati o figli di una piccola città e quindi poco avvezzi o poco interessati alla vita politica, che per natura ed educazione accondiscendono alle proprie naturali inclinazioni.

Ma questi uomini sono come gettati in mezzo alle belve e da un lato non vogliono scendere a compromessi con i malvagi; dall’altro non sono in grado di contrapporsi alla loro forza. Per questo motivo il filosofo rinuncia alla contesa, conscio del fatto che il suo agire non sarebbe in grado di produrre alcun frutto, né a se stesso, né alla propria città. Dunque, preferisce vivere in modo morigerato, nella speranza di morire in serenità e nella pace, seppure dispiaciuto di non aver incontrato uno Stato giusto nel quale avrebbe accresciuto ancor di più la propria morale, conscio del contributo che avrebbe potuto dare nella cura degli interessi di tutta la collettività.”

“Non avresti potuto spiegarci meglio la questione, caro Socrate”.

“Ti dico, inoltre, figlio di Aristone, che attualmente nessuna delle costituzioni esistenti è in realtà degna della natura del filosofo; anche quella dello Stato giusto da noi costituito non lo sarebbe, nel momento in cui non fosse presente un qualcosa in grado di mantenere vivo nel tempo lo spirito iniziale imposto dal legislatore.”

“Cosa dovrebbero fare i filosofi, oggi?”

“Adimanto, anche il modo in cui si fa filosofia oggi è sbagliato!”

“Cosa intendi dire, Socrate?” mi chiese.

“La filosofia non deve essere imparata da ragazzi, almeno nella sua forma più complessa, ossia la dialettica, ma da adulti. I giovani non devono affrontare la filosofia nella sua complessità più alta, perché proprio a causa di ciò se ne potrebbero allontanare. Devono studiare la filosofia dei ragazzi e approfondirla solo in età adulta. Amici cari, ciò che davvero conta è che i veri filosofi siano in grado di prendere il potere, oppure che gli uomini di potere attuali divengano filosofi, ossia contemplatori del vero, di ciò che è divino ed ordinato; e tale ordine non potranno che imitarlo e assimilarlo e, dunque, restituirlo allo Stato che governano. Ragazzi miei, i filosofi saranno tali quando raggiungeranno la conoscenza massima, la quale è superiore ai valori della saggezza, della temperanza e della giustizia di cui abbiamo parlato in precedenza.”

“Di quale conoscenza parli che abbia la forza di superare tutte le altre?”

“Parlo dell’Idea del Bene, caro Adimanto.”

“E come possiamo definire l’Idea del Bene, Socrate?”

“C’è chi l’accosta al piacere. Chi, invece, più saggiamente, la definisce conoscenza, pur non dandocene una definizione precisa. Come se nel sentir parlare del bene fossimo tutti d’accordo nel comprenderne l’essenza, ma non di spiegarne le caratteristiche, se non per il fatto che sia, appunto, conoscenza del bene.”

“Dici il vero, Socrate.”

“E lo stesso accade per il piacere, perché è indubbio che esistano sia piaceri buoni, sia piaceri cattivi.”

“È risaputo, infatti.”

“Questa ricerca del bene pare problematica, non credi Adimanto?”

“Direi proprio difficile uscire da questo groviglio, caro Socrate.”

“Talmente arduo questo cammino che non credo di poterlo percorrere senza incorrere nell’errore, poiché neanche io conosco sino in fondo la verità sull’argomento.”

Intervenne Glaucone: ”Socrate non vorrai mica abbandonarci proprio ora che siamo vicini al traguardo?”
“Non lo farò” risposi “ma dovrete accontentarvi, miei cari, di sentirmi parlare di quello che è più prossimo al Bene, che più di ogni altra cosa gli assomiglia.”

“Bene, Socrate” mi rispose Glaucone “per ora ci accontenteremo di questo.”

“È giusto specificare che tante sono le cose belle e altrettante le buone, però solo una è l’Idea del Bello così come solo una è quella del Bene.”

“Certamente.”

“E se la moltitudine delle prime si vedono e non si pensano, l’Idea del Bello, così come quella del Bene, non si vede ma si pensa”.

“Non potremmo assolutamente contraddirti su questo argomento.”

“Converrai con me, Glaucone, che tutti i sensi, ossia la vista, l’udito, il tatto, e così via… ci permettono di avere conoscenza delle cose sensibili.”

“Certo.” Mi rispose.

“E converrai ancora con me se ti dico che la vista è del tutto peculiare rispetto agli altri sensi.”

“Cosa intendi dire, Socrate?”

“Intendo affermare che la vista, al contrario di tutti gli altri sensi, abbisogna di un terzo elemento che rende possibile la visione delle cose.”

“E quale sarebbe questo terzo elemento?”

“Pensate a un colore, ragazzi miei. Come potremmo vederlo se non esistesse un ulteriore elemento che va a sommarsi alla vista e al colore stesso? Sto parlando della luce, miei cari, senza di essa ogni cosa rimarrebbe invisibile allo sguardo.”

“Certamente, così non può essere per l’udito o il tatto, solo per la vista.”

“E la luce non è riferita al sole?”

“Assolutamente si.”

“La vista, tuttavia, non è il sole, né lo è l’occhio che è l’organo per vedere, eppure, cari miei, io penso che l’occhio sia il più simile al sole tra tutti gli organi di senso.”

“Anche io lo credo.”

“La vista non è il sole, eppure anch’essa è simile al sole; e poiché quest’ultimo è causa della vista, la vista non può che vederlo.”

“Assolutamente si.”

“Ecco, Glaucone, lo stesso discorso vale per l’Idea del Bene della quale vi ho parlato. Essa è causa del sole, il Bene ha generato il sole a sua immagine e somiglianza. Non vi pare che il Bene rappresenti per il mondo intelligibile ciò che il Sole è per il mondo sensibile? Proprio come gli occhi vedono meno distintamente gli oggetti nell’ombra e nuovamente in modo nitido alla luce del sole, così l’anima coglie distintamente ciò che è illuminato dalla verità e con fatica ciò che è molteplice e non unità. La conoscenza e la verità sono figlie del bene che è cosa ancora di maggior pregio di entrambe.”

“Bellissima l’immagine che ci hai descritto, Socrate.”

“Inoltre, mio caro Glaucone, il Sole non permette solo la visione delle cose ma infonde generazione e nutrimento ad esse, pur non essendo esso stesso generazione.”

“Vero!”

“E allo stesso modo, il Bene dona l’essere e l’essenza ai conoscibili, pur essendo entità superiore allo stesso essere.”

“Che gran spettacolo ci stai raccontando, Socrate.”

“Purtroppo, molte cose non riuscirò a rivelarvele per come sono a causa della mia ignoranza. Ma non tralascerò nulla di proposito, abbiatene fede.”

“E noi ti ascolteremo sino alla fine.”

“Bene. Abbiamo detto che due sono i mondi, l’uno è quello sensibile mentre l’altro è quello dell’intelligibile.”

“Sin qui tutto chiaro.”

“Ora, prendiamo una linea e dividiamola in due parti tra loro disuguali e, nella stessa proporzione, dividiamo i due segmenti ottenuti allo stesso modo della linea originale. Otterremo in tal modo quattro segmenti: AE EC CD DB”.

“Fatto, Socrate.”

“Ascoltatemi bene. Il segmento AE equivale alle immagini che provengono dagli enti reali, ossia le ombre, i riflessi sull’acqua, … di uomini, animali, vegetali, e così via.”

“Perfetto.”

“EC, invece, equivale ai modelli reali di queste immagini, ossia gli uomini, gli animali, i vegetali e ogni ente del mondo sensibile. In questo senso potremmo dire che le immagini stanno all’opinione come i modelli stanno alla conoscenza.”

“Tutto chiaro, Socrate.”

“Nella sezione dell’intelligibile, il segmento CD rappresenta l’anima che indaga sulle cose partendo dalle immagini, da delle ipotesi, e conduce il proprio percorso sin verso le conclusioni che si proponeva di dimostrare, non verso l’origine. Mentre il segmento DB vede l’anima indagare non per mezzo delle immagini ma grazie alle Idee.”

“Socrate, devi avere pazienza ma non ho ben compreso la questione relativa al mondo intelligibile”.

“Ascoltami bene, Glaucone. Pensiamo alle ipotesi di cui ti ho parlato come a quei postulati ritenuti validi e indiscutibili da coloro che si occupano di matematica e di geometria; parliamo ad esempio della nozione di pari e di dispari o dei tre tipi di angoli in geometria. Partendo da questi elementi indiscutibili, i nostri esperti giungono a quella verità che si erano prefissati di dimostrare in quanto tale; ovvero, utilizzano modelli visibili per perseguire realtà da cui tali modelli prendono somiglianza. Vi vedo ancora dubbiosi, cercherò di spiegarmi meglio: questi nostri matematici, nel momento in cui disegnano un quadrato o una diagonale, hanno come fine la dimostrazione del quadrato o della diagonale in quanto tali e non il preciso quadrato o la precisa diagonale che hanno disegnato. Il quadrato rappresenta quelle ombre, quel riflesso sull’acqua di cui abbiamo parlato poco prima. Nella sezione dell’intelligibile, quella che il ragionamento raggiunge attraverso la dialettica, i postulati non vengono presi come principi, bensì come punti di partenza, trampolini di spinta per raggiungere ciò che è principio di ogni cosa. Nel farlo non occorre nulla di ciò che è parte del mondo sensibile, bensì le sole Idee.”

“Mi pare di capire, Socrate, che nella sezione dell’intelligibile la prima parte sia una sorta di pensiero discorsivo che trae origine da postulati ma che non sia vera intelligenza.”

“Esattamente mio caro. Il segmento più elevato è quello dell’intelligenza, al quale segue la dianoia, quello che mi hai ora descritto tu, poi vi è la dimensione della credenza ed infine la condizione congetturale. Ogni dimensione avrà in sé tanta chiarezza quanta è la verità posseduta dai loro rispettivi oggetti”.

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