
Leggere “La Repubblica” non è un esercizio facile, almeno per chi non possiede gli strumenti adatti per farlo. Di seguito, propongo una rivisitazione del testo di Platone, con il fine di renderlo più semplice e con l’auspicio che la lettura possa rappresentare un primo passo per avvicinarsi all’originale.
Libro secondo
Ero pronto a uscire di scena, il pensiero andava infatti alla mia Santippe e alla sua collera. Glaucone però non era ben disposto a lasciarmi tornare a casa, almeno fino a quando non fossimo stati in grado di dimostrare per bene che il giusto è sempre e comunque meglio dell’ingiusto.
“Ti propongo una classifica, Socrate”.
“Una classifica, Galucone? Cosa intendi dire?”.
“Parliamo dei beni e cerchiamo di raggrupparli per specie”.
“Perfetto, procedi tu e insegnami”.
“Secondo me potrebbero essere racchiusi in tre gruppi ben distinti. Nel primo gruppo inserirei tutti quei beni desiderati per se stessi, a prescindere dai vantaggi che ne deriva il possederli”.
“Mi sembrano davvero dei beni importanti, quelli di cui parli” gli dissi.
“Lo penso anch’io” mi rispose “e uno di questi beni potrebbe essere la gioia, che di per sé è bellissima e appagante”.
“Non potevi fare esempio più azzeccato, caro Glaucone”.
“Nella seconda categoria inserirei tutti quei beni amati non solo per loro stessi ma anche per i vantaggi che offrono e ci metterei la salute, la vista e l’intelligenza, per esempio”.
“E io continuo ad ammirare il tuo modo di esprimerti”.
“L’ultima categoria, infine, dovrebbe racchiudere in sé tutti quei beni che, rispetto ad altri, sono difficili da perseguire e da conservare ma che offrono grandi benefici. Tra questi vedo la ginnastica e il lavoro, entrambi faticosi ma che donano buona forma fisica e ricchezza”.
“Mi compiaccio davvero con te Glaucone, queste tre categorie sembrano realmente contenere tutte le forme di beni esistenti”.
“Bene Socrate. Ora dimmi, per favore, dove collocheresti la giustizia. Secondo te, qual è il gruppo che meglio le si addice?”
Me lo domandò guardandomi fisso e così lo imitarono tutti i presenti, compreso Trasimaco, che si era riseduto al suo posto, senza andarsene come aveva inizialmente minacciato di fare.
In verità, ero molto tentato di porre la giustizia nel primo gruppo. Alla fine decisi di rispondere come pensavo avrebbero meglio compreso: “Sicuramente la collocherei nel gruppo migliore, il secondo, ovvero tra tutti quei beni che sono belli di per sé e anche per i vantaggi che dona il possederli”.
“Eppure” riprese Glaucone “abbiamo tutti sentito le parole di Trasimaco, che non sono così lontane dal modo comune di intendere la questione. Credo proprio che in pochi seguirebbero il tuo pensiero, mentre i più collocherebbero la giustizia nel terzo gruppo, ovvero tra i beni che costano molta fatica e dispendio di energie”.
Avevo intuito l’intenzione di Glaucone, cioè il fatto di volersi fare portavoce di Trasimaco nel disputare con me, sapeva bene che me ne sarei andato se non fosse intervenuto qualcuno a sostituire il sofista. Per questo motivo, seppure non ne condividesse il pensiero, decise di porsi dal lato dell’opinione più diffusa, ossia quella per cui l’ingiustizia è superiore alla giustizia.
Me lo confermò lui stesso: “Socrate, Trasimaco si è arreso in fretta, io però non sono ancora soddisfatto. Credo fortemente che comportarsi nel modo giusto sia la strada maestra da percorrere, tu però devi darcene una dimostrazione più accurata e convincente.”
“Come credi sia meglio procedere, Glaucone?” gli chiesi.
“Ho deciso di raccogliere le redini lasciate da Trasimaco e di prendere le parti di chi vede l’ingiustizia superiore alla giustizia… E lo voglio fare riportandoti fedelmente la storia che conosco sulle sue origini”.
“E io ti ascolterò volentieri” gli risposi.
“Si dice che la giustizia sia sorta quando gli uomini, stufi degli svantaggi derivati dalle loro reciproche scorrettezze, presero la decisione di accordarsi stringendo un patto di equilibrio”.
“Continua, Galucone”.
“Credo che esista una legge di natura per cui tutti gli uomini siano accomunati dal medesimo istinto, cioè quello di fare il proprio utile. Per riuscirci, ognuno è disposto a compiere ogni tipo di scorrettezza atta al perseguire il proprio scopo. Solo l’imposizione di una legge ha portato stabilità in questa condizione di tutti contro tutti”.
“Intendi dire che ogni uomo nasce ingiusto?” gli chiesi.
“Ti direi di sì, Socrate, almeno nel senso che ho compreso io. Tant’è che anche un giusto, secondo questa prospettiva, lo sarebbe solo perché costretto e non per sua natura.
Sulla base di ciò, che ti ribadisco non è il mio pensiero, caro Socrate, l’essenza della giustizia la si potrebbe rintracciare in una posizione che sta tra il commettere ingiustizia, senza pagarne le conseguenze, e il ricevere ingiustizia, senza potersi vendicare dell’offesa subita. In molti pensano che se il giusto e l’ingiusto possedessero entrambi l’anello di Gige, nessuno dei due percorrerebbe il sentiero della giustizia”.
“Raccontami di questo anello, Glaucone. Non conosco la storia…” gli dissi incuriosito.
“Volentieri Socrate. Gige era un pastore alle dipendenze di un principe, governatore della Lidia. Un giorno, un violento nubifragio e un terremoto causarono una voragine nel terreno dove Gige stava facendo pascolare il suo bestiame e, pieno di stupore e di curiosità, decise di calarsi nel baratro. Lì vi trovò una statua a forma di cavallo, fatta di bronzo e cava all’interno. Gige scorse dentro la statua il cadavere di un uomo dalle dimensioni sovrumane, con un anello al dito e non ci pensò due volte a sfilarglielo e subito dopo ad uscire in fretta, fuori dalla buca. Ben presto si rese conto di come l’anello possedesse un grandissimo potere, quello di rendere invisibile chiunque lo indossasse. Allora Gige decise di usarlo per realizzare un fine malvagio, ossia sedurre la moglie del principe, suo sovrano, e con il suo aiuto ucciderlo e prenderne il posto”.
“Storia affascinante” gli dissi.
“Ora” continuò Glaucone “supponiamo che al mondo esistano due anelli del genere e immaginiamo che uno di essi cada nelle mani di un giusto mentre l’altro in quelle di un ingiusto. Non sarebbe lecito credere che entrambi questi uomini farebbero uso dell’anello alla medesima maniera?”.
“In che modo lo farebbero?” gli chiesi.
“Perpetrando ingiustizia! Voglio dire, Socrate, che nessun individuo abbraccia la giustizia di proposito e se lo fa è solo perché vi è costretto. Chi, invece, si comporta correttamente, supponiamo ora per assurdo che lo faccia per sua indole e dunque perché davvero sia un uomo giusto, allora riceverà lodi e onori in pubblico dalle stesse persone che lo biasimeranno alle spalle, ritenendolo uno sciocco”.
Stavo ascoltando Glaucone con vero interesse e, mentre lo facevo, pensavo alla differenza che intercorre tra il molteplice e l’unità, tra il mondo mutevole e quello eterno, tra una cosa e l’idea che si ha di quella stessa cosa. Esistono discorsi, infatti, che appaiono giusti a tutti coloro ai quali vengono sottoposti ed è da questi che è possibile trarre una vera conoscenza. Altri, invece, servono solo a persuadere chi li ascolta…
“Come giudichi, Socrate, la vita del giusto e quella dell’ingiusto? È davvero quella del giusto la migliore?” mi chiese ancora Glaucone.
“Direi che questa tua domanda rappresenta uno dei nodi che ci siamo imposti di sciogliere, o sbaglio?” gli risposi.
“Non sbagli Socrate. Che ne diresti se provassimo a rispondere mettendo a confronto due casi estremi? Ossia un uomo giusto, osservato nella sua perfetta giustizia, e un uomo ingiusto, nella sua perfetta ingiustizia”.
“Proviamoci Glaucone, io seguirò volentieri il tuo ragionamento”.
“Bene. Sicuramente una delle prerogative dell’ingiusto sarà quella di fare tutto ciò che desidera e allo stesso tempo di sembrare onesto. Dovrà naturalmente farlo col massimo riserbo, senza rivelare le sue vere intenzioni: il colmo dell’ingiustizia, infatti, consiste proprio nel dare l’impressione di essere giusto. L’uomo giusto, invece, non baderà assolutamente alle apparenze, forte della sua naturale onestà”.
“Mi sembra un ottimo punto di partenza”.
“Ora, Socrate, prendiamo in esame una situazione ancora più limite di quella appena descritta, ovvero diciamo che il giusto abbia la reputazione dell’ingiusto e l’ingiusto abbia l’apparenza di un uomo giusto”.
“Facciamolo” dissi.
“Secondo te, chiunque ne avesse la possibilità, sceglierebbe la vita dell’ingiusto o quella del giusto? Rispondimi anche considerando che per l’ingiusto sarà più semplice prevalere negli affari e nelle questioni pubbliche e private, se avrà un giusto come contendente. L’ingiusto, infatti, con il suo modo di fare non faticherà ad arricchirsi a danno del giusto, assicurandosi, per di più, anche il favore degli Dei…”
“Perché mai si assicurerebbe il favore degli Dei? Spiegamelo, Glaucone” lo interruppi senza rispondere alla sua domanda.
“Perché sarebbe in grado di fare dei sacrifici ben più sfarzosi in loro favore, molto di più rispetto a quelli che si potrebbe permettere un uomo onesto e giusto, non credi?”
Così concluse e io stavo pensando a una risposta adeguata da dargli quando intervenne Adimanto, suo fratello: “Socrate” mi disse “prima di rispondere a Glaucone dobbiamo esaminare la posizione opposta a quella presentata da mio fratello. Ossia il punto di vista di chi esalta la giustizia e biasima l’ingiustizia”.
“Fai pure, Adimanto”.
“La giustizia, caro Socrate, per come ci hanno insegnato i nostri padri, dunque per come noi ateniesi intendiamo tradizionalmente l’educazione, non è una virtù bensì un mezzo per ottenere una buona reputazione di fronte agli uomini e agli Dei. Chi si comporta con giustizia, infatti, ne avrà tanti benefici in società e altrettanti nell’aldilà. Il giusto farà buoni affari in questo mondo, perché sarà ben visto dagli Dei, e nell’aldilà sarà ricompensato per le sue buone azioni. Questo è il motivo che ci hanno insegnato per preferire la giustizia!”.
“Comprendo bene quello che dici…”
“Osserviamo ora insieme, invece, il pensiero delle persone comuni e dei poeti”.
“Facciamolo pure”.
“Sai cosa ne pensano loro della giustizia? La giustizia, Socrate, la vedono come un bene faticoso, a differenza dell’ingiustizia che offre molti più benefici con minore dispendio di energie. Di fronte a questi esempi, la maggior parte delle persone non aspira a seguire la strada della giustizia, anzi, i più si mascherano da giusti cercando, con ogni mezzo, di non rivelare le proprie vere intenzioni agli altri uomini”.
“È quello che fanno in molti, effettivamente. Ma dimmi, Adimanto, con gli Dei come faranno tutti questi ingiusti? Come potranno ingannarli? Perché sai bene che gli Dei conoscono e vedono tutto…” gli chiesi.
“Ce lo insegnano tante persone autorevoli… Potranno benissimo ribaltare le proprie sorti attraverso le giuste invocazioni e i buoni sacrifici!” mi rispose.
Poi raccolse tutte le sue energie e mi disse: “Socrate, ascoltami, poiché mai nessuno ha davvero indagato profondamente la giustizia per dimostrare che rappresenta il vero bene e l’ingiustizia il vero male, allora dobbiamo farlo noi, con il tuo aiuto. Non credi, infatti che nessun uomo sarebbe così folle da voler coabitare con il peggiore dei mali se davvero ne avesse la prova che lo fosse? Socrate devi aiutarci a salvare la giustizia!”
“E come potrei fare, mio carissimo Adimanto?”
“Tu lo sai, Socrate… E devi dimostrare non solo la superiorità della giustizia, se dimostrassi solo quello allora nessuno potrebbe obiettare che la giustizia sia esclusivamente un utile, ossia un abito da usare nella società e da cui sia possibile trarne vantaggio. Dobbiamo trovare la prova davanti alla quale nessuno potrà smentirci quando affermeremo che la giustizia è un bene e l’ingiustizia è un male”.
Rimasi davvero incantato dalle parole dei due fratelli.
Glaucone e Adimanto erano riusciti a convincermi senza fatica a proseguire verso il fine che mi avevano indicato e sentivo davvero forte, in me, il dovere morale di soccorrere la giustizia. Per farlo dovevo però battere una strada particolare, differente rispetto a quella intrapresa fino a quel momento, ovvero non dovevo più cercare la giustizia individuale, quella che caratterizza ogni uomo.
“Una scritta molto piccola è difficile da leggere se si è posizionati ad una certa distanza da essa. Siete d’accordo?” Chiesi loro.
“Certo” mi risposero.
“Se, però, fossimo in grado di trovarne un’altra, identica alla prima ma più grande, non sarebbe più semplice leggerla e comprenderne il messaggio?”
“Direi proprio di si” mi disse Glaucone.
“Cari miei, io direi proprio di procedere in questo modo…”
“Facci strada, Socrate, e noi ti seguiremo”.
“Bene… Vorrei tentare di rintracciare la giustizia all’interno di uno Stato e, se avremo fortuna e la scorgeremo, allora potremo trasporre tutte le osservazioni da quello Stato all’individuo, cogliendo nelle caratteristiche del maggiore le somiglianze con il minore e viceversa. Forse, agendo in questo modo, sarà più facile per noi rinvenire la definizione universale di giustizia, dimostrandone in tal maniera la superiorità, in quanto bene per tutti gli uomini”.
“Un percorso difficile, anche se sembra davvero il migliore tra tutte le opzioni possibili” disse Glaucone
“Allora iniziamo e direi di farlo cercando di capire come si origina uno Stato che abbia come valore principale quello di amministrare i propri sudditi secondo giustizia. Prima di tutto, però, sapete indicarmi quale sia la forma di Stato nella sua condizione più semplice?” chiesi loro.
“Diccelo tu Socrate” mi rispose Adimanto.
“Direi che uno Stato, di qualsiasi genere, nasca principalmente con il fine di sopperire all’incapacità dei singoli nel provvedere da soli ai propri bisogni. Questo Stato è dunque uno Stato di necessità, nel quale i suoi membri si occupano delle esigenze fondamentali di tutti. In questo senso, ogni professione ha un’utilità definita e ogni uomo, all’interno della società, impiega la propria opera nel mestiere che è a lui più congeniale, concentrandosi su quell’unica attività e svolgendola al meglio delle proprie possibilità.”
Gli Spiegai che, con il passare del tempo, uno Stato del genere avrebbe aumentato la produzione interna, che sarebbe poi stata impiegata non solo per soddisfare le esigenze proprie ma anche con lo scopo di intraprendere scambi commerciali con altri Stati.
E aggiunsi “…è chiaro che con la nascita del commercio, in seguito, si renderà necessario il conio di una moneta. Non pensate, allora, che nascerebbero altre figure istituzionali legate al nuovo sistema economico?”
“Credo proprio di sì, Socrate. Penso anche che sino a qui tu abbia descritto benissimo il sorgere di un nuovo Stato” mi rispose Adimanto.
“Bene, continuiamo allora. Quando i bisogni primari saranno soddisfatti, non sorgerà anche l’esigenza del lusso?”
“Certo, è ovvio”.
“Di conseguenza si renderà necessario ingrandire lo Stato e per farlo si dovrà dichiarare guerra ad altri Stati”.
“Naturalmente…”
“Ecco, dunque, come nasce il bisogno di un esercito di professione “ continuai “impiegato prima per conquistare e poi per difendere il territorio. E questi soldati professionisti, questi guardiani, non dovranno ricevere un’educazione adeguata al loro ruolo sin da fanciulli? Non dovranno crescere vigorosi fisicamente… avere Thymos? Dunque dovranno essere coraggiosi e animosi, pronti alla difesa e all’attacco e manifestare durezza con i nemici e mitezza con i propri compagni. Non siete d’accordo con me?”
“Certo Socrate, sarebbe il modo più giusto per educare i guardiani dello Stato che stiamo costruendo”.
“E nel loro essere duri con gli estranei e miti con i conoscenti, non avranno bisogno della filosofia?”
“In che modo la filosofia li renderebbe duri o miti?” mi chiese Adimanto.
“Ebbene, la filosofia non è forse amore per la conoscenza? Ascoltami, il guardiano non potrà che ricorrere alla conoscenza e all’ignoranza per discriminare tra gli amici e i nemici; sta da sé che amerà i primi e disdegnerà i secondi”.
“Hai perfettamente ragione, Socrate”.
“Il giovane guardiano, badate bene, dovrà anche essere educato nel corpo e nell’anima”.
“In che modo?”
“Nel corpo attraverso la ginnastica. L’anima, invece, verrà educata con la musica che, come sapete, racchiude in sé anche tutte le opere letterarie dei nostri poeti antichi. Naturalmente i loro scritti dovranno subire una puntuale censura da parte degli educatori”.
“Che tipo di censura, Socrate?”
“Dovranno essere omesse tutte quelle parti che raccontano i particolari più scabrosi e il carattere amorale e iroso dei nostri Dei. Si dovranno cioè bandire tutti quei racconti che li ritraggono come bizzarri e bugiardi, lesti ad escogitare ogni tipo di tranello e di bassezze per raggirare gli uomini. Al contrario gli Dei dovranno essere raccontati ai ragazzi in tutta la loro semplicità e perfezione, nella loro massima espressione di benevolenza e correttezza”.
Spiegai loro l’importanza della censura per l’educazione di chi è giovane e non ha la capacità di discernere il vero dal falso. Chi avesse imparato delle falsità già in tenera età, infatti, non avrebbe potuto far altro che credere di conoscere pur non conoscendo, confondendo in tal modo la “vera conoscenza” con la “vera falsità”.
“Conoscere cose false e reputarle vere” dissi loro “rappresenta una condizione peggiore della stessa ignoranza… Ricordatelo sempre, ragazzi miei: l’ignorante aspira alla conoscenza, al contrario di chi possiede una falsa sapienza, il quale è già convinto di sapere ogni cosa”.