L’Elogio di Erasmo – seconda parte

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«Allora Marta… Ti stuzzica la filosofia di Erasmo? Ti piace l’immagine per cui l’umanità sia strettamente legata alla follia?»

«Perché no! Anche se finora credevo che a distinguerci come specie fosse la ragione» mi rispose con un pizzico di sarcasmo.

«Non riesco a darti torto» le dissi «però la versione di Erasmo è molto convincente! Basta cambiare prospettiva, non trovi? I filosofi, quelli descritti nel testo, vedono l’infelicità nella follia, cioè in quell’ignoranza che contraddice la consapevolezza. Erasmo vuole ribaltare la loro visione: nessuno è infelice quando è in armonia con la propria natura, ci dice; una natura umana che vuole tanto la follia quanto la ragione… anzi, è la follia la vera medicina per l’anima, la giusta strada da seguire per raggiungere la felicità. Non è la scienza la via da percorrere, come sostengono invece quegli “esperti del ragionamento tortuoso”, cioè i filosofi. Essa, al contrario, rappresenta una vera tortura per la mente umana. Le uniche discipline scientifiche che l’uomo deve prediligere, dato che ormai ci sono perché donate all’umanità da dei demoni impiccioni, sono quelle più vicine alla follia. Non la teologia… E nemmeno la fisica o l’astrologia e neppure la dialettica! Ma la medicina e la giurisprudenza!»

«E perché i medici e gli avvocati sarebbero folli?» mi chiese Marta stupita.

«Perché la medicina, per Erasmo, almeno per come veniva esercitata dai più, rappresenta solo una forma di adulazione: è l’arte della retorica. I medici convincono il loro paziente ma non lo curano sul serio. Gli avvocati vengono descritti come asini che riescono negli affari e che dibattono senza sosta, allontanandosi sempre di più dalla verità; a dispetto dei poveri teologi e dei filosofi, i quali ragionano sui misteri dell’universo, trascorrendo però la loro intera esistenza nell’indigenza. La soluzione migliore comunque, questo vuole essere il messaggio della Follia, è quella di non farsi ammaliare da nessuna delle arti razionali.»

«Quindi la felicità è degli stupidi e degli ignoranti?»

«Beh, nel testo la Follia si domanda: non sono forse gli scimuniti e gli sciocchi a non avere paura della morte? A non essere tormentati da rimorsi di coscienza, a non avere timore degli spiriti o dei mali incombenti o della precarietà per il futuro che non si conosce? Sono allegri e portano la loro spensieratezza in giro per il mondo, come se fossero dei predestinati. Anche i sovrani non possono fare a meno dei folli, perché gli donano buonumore; infatti, a differenza dei filosofi, agli sciocchi è permesso anche il prendersi gioco del proprio Signore.»

«Effettivamente, nelle corti medioevali, ai buffoni era quasi tutto permesso.»

«Bravissima Marta!»

«Reminiscenze di vecchie letture. E internet me lo sta confermando» mi disse mostrandomi lo schermo del suo smartphone e facendomi l’occhiolino.

Scoppiai in una risata «Lo sai che per spiegare e motivare quello che scrive, Erasmo fa uso di molte allegorie e dei miti dell’antica Grecia? Ti ho citato prima il suicidio delle vergini di Mileto; Erasmo ci parla anche del demone Theuth e dell’invenzione dell’alfabeto, prendendo spunto dal Cratilo e dal Fedro di Platone. Fa riferimento ad Omero, alle commedie di Aristofane. Si rifà agli scritti di Policrate, alla Repubblica di Platone, a Seneca, a Plutarco… Una vera e propria conoscenza enciclopedica quella di Erasmo. Altro che Google!»

«Sarebbe stato un ottimo compagno di studi» mi rispose Marta «Insomma, i folli stanno meglio dei sapienti perché conoscere significa avere maggiore coscienza delle brutture del mondo; brutture talmente brutte da condurre molti di loro al suicidio…»

«Esatto Marta. Inoltre le brutture del mondo, come le hai chiamate tu, si riflettono anche sull’aspetto fisico dei filosofi. La Follia ce ne fa un vero e proprio ritratto negativo: li descrive come dei vecchi canuti, istruiti e colti ma tristi, austeri, inflessibili con se stessi, fastidiosi ed evitati dagli altri uomini; sono magri, pallidi e deboli, in fuga dalla vita prima del tempo, una vita che in realtà non hanno mai veramente vissuto…»

«Che brutta immagine! Qui Erasmo esagera un pochino, non credi?»

«Certo, sono d’accordo. Devi capire, però, che Erasmo vuole mostrarci due prospettive tra loro estremamente contrapposte. La sua è un’allegoria, un’esagerazione, una vera e propria provocazione che ha un fine ben preciso, cioè quello di condannare certi costumi e certi atteggiamenti in voga nella società e nella Chiesa del suo tempo. E di esempi specifici di condanna ne farà molti e molto chiaramente, più avanti nel testo. Erasmo muove un’ulteriore obiezione alla presunta superiorità della Follia; e lo fa con il “gracidare delle rane del Portico”.»

«Cioè?»

«Qui Erasmo allude agli Stoici, ma mica lo spiega nel testo, così come tante altre metafore che usa. Non sai quante volte ho dovuto usare i motori di ricerca!» e continuai «Le rane gracidanti sostengono che non esiste nulla di più miserevole della demenza e che l’andare fuori di senno, l’essere folle, altro non è che la manifestazione della demenza stessa.»

«E come dargli torto?» mi chiese Marta con un sorriso.

«Aspetta! Magari cambierai idea anche ora. Erasmo usa Platone per confutare gli Stoici; e lo fa attraverso le parole di Socrate che, nel Simposio, distingue tra la Venere celeste e la Venere terrestre e tra il Cupido celeste e il Cupido terrestre. Intende cioè spiegare l’esistenza di due tipi di follia: una è irragionevole e violenta, mentre l’altra conduce alla felicità. Quest’ultima ha la forza di liberare l’animo umano dalle angosce ed è in grado di infondere un piacere infinito agli uomini.»

«E naturalmente la demenza positiva è quella che ci ha donato la Follia, giusto Mirko?»

«Esatto Marta, vedo che hai capito bene. La follia negativa, che scaturisce dagli inferi per mano delle dee della vendetta, genera la passione per la guerra negli uomini, la sete di denaro, l’omicidio e ogni genere di peccato. Quella positiva, che è emanazione della protagonista dell’Elogio, è invece una demenza di tutt’altra specie.»

«Erasmo ci fa qualche esempio di follia positiva?»

«Certo!» sorrisi «Ci parla prima di Cicerone e poi del cittadino di Argo; è particolarmente simpatico questo secondo racconto. Il protagonista è seduto da solo a teatro, in un teatro deserto. Tutto ad un tratto inizia a ridere e lo fa perché pensa di assistere realmente a uno spettacolo, di vedere davvero gli attori e le attrici recitare sul palcoscenico. La situazione ancor più comica nasce con i suoi familiari che, preoccupati, si attivano per cercare una cura alle sue visioni, trovandola! Rinsavito, egli inizia a inveire contro i parenti e a lamentarsi con gli amici perché, a causa loro, erano sparite tutte quelle belle illusioni che tanto lo divertivano e che lo facevano stare bene.»

«Divertente!»

«Molto. Erasmo spiega che non è follia quella che non ti permette di cogliere la differenza tra una bella poesia o una poesia di poco valore; o il confondere un asino da un mulo a causa di problemi di vista. La follia positiva ha bisogno dell’errore generato dall’uso contemporaneo dei sensi e della mente e deve, inoltre, perdurare nel tempo.»

Marta mi guardò confusa «Ok… aspetta! Questa me la devi spiegare meglio!»

«Ad esempio, se sentendo il raglio di un asino un uomo crede di ascoltare una sinfonia soave o, nonostante le sue umili origini, egli pensa di essere un nobile, è sicuro che al poveruomo ha dato di volta il cervello. E il benessere che infonde questo tipo di pazzia vale sia per chi ne è in possesso, sia per chi ne è spettatore.

Sono folli anche tutti quelli che disprezzano ogni cosa al di fuori delle battute di caccia, che amano il suono cupo del corno e l’abbaiare dei cani, e il rituale dello squarciare la selvaggina.

Sono folli quei giocatori che trascorrono la loro vita a gettare i dadi, perdendo ogni loro avere e frodando gli altri, con lo scopo di riottenere i mezzi per ritornare a giocare.

Sono folli anche tutti coloro che ascoltano storie incredibili, fatte di fantasmi e spettri. Questi racconti, ci dice Erasmo, non sono solo un passatempo contro la noia, ma anche un guadagno per i sacerdoti e i predicatori.»

«Eccoci arrivati al tasto dolente! Sbaglio?»

«Non sbagli Marta! Erasmo vive in un periodo storico in cui si fa strada l’idea di una riforma. È il periodo di Lutero, della denuncia della vendita delle indulgenze. Erasmo non è filo-luterano, tuttavia è ben cosciente del degrado della società in cui vive ed esprime ironicamente tutto il suo disappunto nelle pagine dell’Elogio.

Infatti descrive come folli tutti coloro che pensano di salvarsi dalla morte pregando San Cristoforo o Santa Barbara; o coloro che pretendono di diventare ricchi grazie a Sant’Erasmo. O, ancora, chi giura devozione a San Giorgio, o alla Vergine Maria, solo per proprio beneficio materiale. Madonna alla quale, ci dice Erasmo, la gente attribuisce quasi più autorità che a Cristo. Come se ciò che non fosse possibile ottenere dal Figlio, potesse, invece, avere felice riscontro attraverso l’intercessione della Madre.

Descrive come folle chi vive nella convinzione di poter lavare il fango di un’intera vita fatta di spergiuri, tradimenti, perfidie, attraverso il pagamento di un obolo, mediante un patto insomma, ricominciando così da zero. Solo gli odiosi saggi sono consapevoli che “morire bene” significa aver “vissuto bene” e che senza un vero pentimento non può esistere alcuna salvezza. Se gli uomini folli lo capissero, allora verrebbero travolti dall’angoscia.»

«Odiosi saggi? Odiosi perché conoscono la verità?»

«Direi di si.»

«E quindi solo il saggio è in grado di affermarla, dico bene?»
«Si, lo penso anch’io. Purtroppo, come ci dice Erasmo, se la verità trapelasse, la sicurezza di tutti quei folli verrebbe tragicamente meno.»

Fine seconda parte…

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