«A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.» (Primo Levi, Se questo è un uomo)
Sono trascorsi molti anni da quel 27 Gennaio 1945, ad Auschwitz. Sono trascorsi 31 anni dalla morte di Primo Levi, 31 anni oggi, 11 Aprile 2018.
Levi è morto suicida, un gesto che ha affermato ancor più profondamente il suo distacco dal Dio ebreo, dalla fede in una divinità trascendente, allontanamento che ha avuto inizio con la Shoah.
«Kuhn ringrazia Dio perché non è stato scelto […] Non capisce Kuhn che è accaduto oggi un abominio che nessuna preghiera propiziatoria, nessun perdono, nessuna espiazione dei colpevoli, nulla insomma che sia in potere dell’uomo di fare, potrà risanare mai più? Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn».
Con queste parole, tratte da Se questo è un uomo, Levi ha sentenziato la morte di Dio in sè, ma non la Sua dipartita dal campo di prigionia e sterminio.
«Tutte le caratteristiche dell’essere divino sono caratteristiche dell’essere umano» ci ha detto Feuerbach, insistendo sul concetto di alienazione, per cui Dio acquista tanta più forza quanto più l’uomo se ne priva.
«Dietro di me sentii il solito uomo domandare: dov’è Dio. E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca», sono le parole Eli Wiesel, prese dal suo libro La Notte, con le quali descrive la morte di un bambino, impiccato nel campo di Auschwitz dalle SS. Una lenta agonia la sua, una fine che non sopraggiunge se non dopo mezz’ora di sofferenza.
La religione cristiana afferma che Dio si è fatto uomo e come uomo ha percorso tutto il cammino delle nostre paure, delle nostre passioni, facendone la sua passione. «Giuda, quello che devi fare fallo, e fallo in fretta», «Dio allontana da me questo calice, ma sia fatta la tua e non la mia volontà», «Padre perché mi hai abbandonato?». Ho citato a memoria alcuni estratti delle mie letture giovanili del Vangelo; testo che rappresenta la testimonianza di Gesù in quanto uomo. Ciò mi permette di immedesimarmi, ci permette di immedesimarci tutti in lui, proprio perché uomini.
«Beati saranno coloro che vedendo crederanno, ma ancor più beati saranno coloro che pur non vedendo crederanno» sono le parole di Cristo risorto, di fronte all’incredulità di Tommaso.
Credere in Dio é un atto di fede e la fede esige, secondo alcuni, la sospensione della ragione. A me piace pensare, al contrario, che credere in Dio non voglia una tregua tra noi e la nostra razionalità. Penso che la fede, la ragione la comprenda e non la trascenda.
Condivido l’idea di Eli Wiesel per cui le domande abbiano una forza non più presente nelle risposte; e ritengo che il segreto del “Credere” risieda proprio nella forza contenuta nella domanda.
Per Nietzsche Dio é morto; eppure l’immagine platonica del filosofo che si libera dalle catene ed esce dal buio della caverna contemplando finalmente la luce del sole, ha la capacità di farmi pensare al tutto e non certo al nulla.
Primo Levi ha avuto la fortuna di sopravvivere al campo di sterminio; tuttavia, l’essere stato testimone della crudeltà di cui l’uomo è capace lo ha cambiato profondamente, ha letteralmente ucciso una parte di lui.
Una crudeltà che si è rivelata in tutta la sua realtà anche in quanto disumanizzazione dell’umano. Ragionando in questi termini e ripensando le parole di Feuerbach, mi viene da dire che Dio c’era, era sicuramente presente ad Auschwitz, molto più che altrove.