Perché siamo nati qui?

Mi capita di riflettere sul mistero della “fortuna”. Gli antichi Greci parlavano di Tyche, della sorte che si rivela in modo inevitabile, sfuggendo al controllo dell’uomo. La fortuna era intrecciata alla necessità, ad Ananke, una delle Moire, dea del destino.

Anche per i Romani la fortuna prendeva le sembianze di una dea, custode cieca della buona e della cattiva sorte, entrambe governate dal caso, senza alcun arbitrio.

Chi o cosa ha deciso che nascessimo qui, in Italia? Perché non altrove? Chi o cosa ci permette di uscire ogni giorno di casa, di andare al lavoro, incrociando mani alzate che implorano? E chi o cosa ha stabilito che non fossimo noi, invece, a indossare quegli occhi supplicanti, quei palmi aperti verso il cielo?

Ci sono cose che non possono essere cambiate, fuori dalla portata di chiunque. Ma possiamo fermarci a riflettere su questioni che sembrano lontane, e che invece ci toccano profondamente. Siamo tutti legati, in qualche modo, da un filo invisibile, intrecciato dal caso. E proprio questo caso, questa fortuna che ci ha donato, richiede di essere riconosciuta, di essere seguita, affinché possiamo restituire qualcosa a chi, dalla fortuna, attende ancora la sua parte, il proprio riscatto.

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