Telegram e riservatezza

“Telegram è diventata la piattaforma numero uno per la criminalità organizzata”, affermano diverse fonti, mentre Pavel Durov viene arrestato a Parigi dai gendarmi della GTA (Gendarmerie des Transports Aériens), appena sceso dal suo jet privato. La magistratura accusa i vertici di Telegram, in particolare Durov, di non aver collaborato adeguatamente con le autorità nelle indagini mirate a smascherare e contrastare le attività illegali condotte tramite il sistema di messaggistica crittografato. Secondo gli inquirenti, questa mancanza di collaborazione rende Telegram, sebbene indirettamente, complice di tali attività illecite.

Fondata da Pavel Durov e suo fratello Nikolai nel 2013, Telegram ha la sua sede principale a Dubai ed è nota per l’uso della crittografia end-to-end, che protegge le comunicazioni tra gli utenti. A differenza delle piattaforme americane, spesso criticate per l’uso commerciale dei dati personali, Telegram ha sempre garantito di non divulgare alcuna informazione personale dei suoi utenti.

Questa ferma posizione a tutela della privacy ha sollevato preoccupazioni quando è emerso che il software può essere sfruttato anche per scopi illeciti, senza che l’azienda fornisca una collaborazione adeguata alle autorità.

Un caso emblematico di questa problematica risale a dicembre 2015, quando Syed Rizwan Farook e Tashfeen Malik fecero irruzione in un centro sociale per disabili a San Bernardino, in California, aprendo il fuoco e provocando una strage. Entrambi morirono nello scontro con la polizia, ma le autorità recuperarono un iPhone 5C appartenente a uno degli attentatori. Il dispositivo era protetto da un codice di sblocco a 4 cifre e configurato per cancellare tutti i dati dopo 10 tentativi falliti di accesso.

Quando l’FBI chiese ad Apple di sviluppare un software per bypassare queste misure di sicurezza, l’azienda rifiutò, sostenendo che la sicurezza dei propri dispositivi era un principio fondamentale della sua etica aziendale. Apple dichiarò che non avrebbe creato una backdoor “ufficiale” per aggirare la protezione. Di conseguenza, l’FBI si rivolse a un’azienda esterna specializzata in sicurezza informatica per sbloccare il telefono. Secondo un’indagine del Washington Post, l’azienda in questione era una piccola società australiana guidata dal programmatore Mark Dowd, noto come “il Mozart degli exploit”.

Nell’etica deontologica, la moralità di un’azione è valutata in base alla sua conformità a principi o norme morali predefiniti, indipendentemente dalle conseguenze. Questa concezione si basa sulla filosofia di Immanuel Kant. Nel 1796, Benjamin Constant criticò questa visione, in particolare riguardo al principio del “dire sempre la verità”, sostenendo che un obbligo assoluto di dire la verità renderebbe impossibile la convivenza sociale. Kant rispose con “Sul presunto diritto di mentire per amore dell’umanità”, affermando che mentire è sempre moralmente sbagliato, anche se la menzogna fosse rivolta a un assassino che bussasse alla nostra porta in cerca della sua vittima. Secondo Kant, anche se si stesse nascondendo la vittima (come un amico) per proteggerla, si avrebbe comunque il dovere di dire la verità e di denunciare la persona nascosta.

Applicando questa riflessione ai casi attuali, emerge la questione su dove inizi e dove finisca la responsabilità delle aziende che offrono servizi legali o prodotti privi di finalità illecita, quando questi vengono utilizzati per scopi illeciti che ne distorcono la finalità originale. Indipendentemente dalla loro assunzione di responsabilità, le aziende produttrici di servizi e beni devono collaborare con le istituzioni oltre le responsabilità legate alla privacy dei dati personali dei loro clienti?

Esiste un’etica imprescindibile e una morale a cui non è possibile sfuggire? Considerando la questione anche da una prospettiva filosofica e parafrasando Paul Ricoeur—che distingue tra ethos (di origine greca) e mores (di origine latina), dove il primo sottolinea ciò che è obbligatorio e il secondo ciò che è considerato buono—è ragionevole stabilire regole che garantiscano il rispetto della riservatezza e del bene comune. Tuttavia, è essenziale considerare anche la saggezza pratica, rappresentata dalla phrónēsis greca e dalla prudentia latina.

Quando l’etica, la deontologia o l’obbligo kantiano generano polemiche e divisioni, pur essendo concepiti per evitare controversie, deve entrare in gioco la saggezza, che si erge come un principio universale e superiore rispetto alle norme specifiche. Questa saggezza si traduce in leggi e principi che trascendono il contesto aziendale e sono validi in senso più ampio.

In assenza di tali imposizioni universali, il comportamento di Apple nel non cedere alle richieste di accesso ai dati è giustificabile. Allo stesso modo, Pavel Durov avrebbe il diritto di non essere arrestato nell’ambito di un’indagine che non lo considera corresponsabile, se non attraverso una manovra semantica piuttosto che un’accusa ben radicata e concreta.

Esiste un bene superiore che giustifica la violazione della riservatezza? Se sì, allora questo bene deve essere reso pratico e reale, portato dal regno ideale al concreto e codificato. In caso contrario, ci si ritrova a fare i conti con il “particolare”, mentre si esige una regola universale.

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